Giulio

Pensiamo di conoscere una persona, e invece. Invece scopriamo un inaspettato e sorprendente senso di vicinanza e di comprensione. Questa è la storia di Patta e del suo conoscente Giulio.


Nel settembre del 2024 ho partecipato a un funerale. Non mi càpita spesso, ma ho realizzato che parteciparvi diventerà probabilmente sempre più frequente con il tempo. In quella chiesa ho intravisto Giulio.

Conosco Giulio da anni. È sempre stato un po’ come il mago dei film fantasy: alto e magro, schiena un po’ curva, età indefinibile, lunga barba bianca, modi di fare spigliati e ironici che non si addicono a un vecchietto. In realtà ormai inizia a essere anziano per davvero, anche se sembra sempre lo stesso.

Insegnante, probabilmente in pensione, Giulio è una persona di cultura. Uno con cui purtroppo non ho mai avuto un dialogo al di là dei convenevoli. D’altra parte non ho mai avuto molte occasioni di parlarci, vuoi perché appartengo a un’altra generazione, vuoi perché non è un tipo molto loquace. A maggior ragione perché da ormai un bel po’ vivo all’estero.

In tempi recenti ho scoperto che Giulio è non credente. Suppongo che si autodefinisca così. La cosa è stata menzionata durante una conversazione a casa dei miei genitori. Sono rimasto un tantino sorpreso, perché ho sempre pensato che lui e sua moglie fossero una coppia piuttosto religiosa. In realtà, a ben pensarci, sapevo soltanto che sua moglie è un’assidua frequentatrice della parrocchia, ma effettivamente ciò non dice nulla di lui.

È piuttosto singolare che io ne venga a conoscenza solo ora, in quanto nel mio contesto sociale d’origine il pettegolezzo (benevolo, anche se non sempre) è un po’ la forma base di comunicazione. Stiamo parlando del classico paesello di pochi abitanti, quasi tutti anziani, dove peraltro essere cristiani è la norma.

Al funerale ho intravisto Giulio, dicevo. Gli ho fatto un cenno di saluto, al quale lui ha risposto. Poi la celebrazione è iniziata.

Era la prima volta che mi ritrovavo in una chiesa dopo tanto tempo. Ormai pensante, a differenza di quando ancora avevo l’abitudine di andarci, ho effettivamente prestato attenzione a quanto diceva il sacerdote. I dettagli sono sbiaditi, ma ricordo che le sue parole di introduzione alla celebrazione mi risuonavano talmente farlocche che quasi ogni frase generava in me una gran voglia di protestare. Pensieri che naturalmente non potevo esprimere. Se le Messe fossero un dialogo piuttosto che una lezione frontale che non ammette domande, se ne vedrebbero delle belle.

Mi è rimasta impressa la frase di apertura, nella quale il celebrante sosteneva che «siamo certi che Gesù è con noi perché lo sentiamo, esattamente come sentiamo il sole che ci scalda». Inutile spiegare perché tutto ciò sia completamente insensato. Mi sono augurato che quell’inutile sproloquio fosse almeno di consolazione per i parenti della defunta, sebbene l’argomento fosse più incentrato sui presunti prodigi di un presunto carpentiere magico che non sul ricordo della persona scomparsa.

Provavo un certo disagio a trovarmi lì e spesso giravo un occhio verso Giulio, visto che ero consapevole della sua posizione di non credente.

Potevo notare una cosa a cui in passato non avrei mai fatto caso: pur partecipando alla gestualità «macroscopica» convenzionale, vale a dire sedendosi e alzandosi in concordanza con le persone attorno a lui, Giulio non apriva bocca, rifiutando fieramente di ripetere a pappagallo quelle vuote formule.

Tutto questo potrebbe sembrare una banalità, ma in quel momento di disagio Giulio è stato per me di grande aiuto, e gli sono immensamente grato, anche se lui non lo sa. Avere Giulio lì vicino, in un dignitoso silenzio, rispettoso per il lutto di chi resta ma impermeabile alle supercazzole e alla pressione sociale, mi faceva sentire incluso in una situazione nella quale altrimenti mi sarei sentito piuttosto scomodo.

Patta


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5 pensieri su “Giulio

  1. Grazie per questa storia, Patta. 🙂
    E’ capitato anche a me, in passato, di osservare gli altri in contesti religiosi, cercando un Giulio che mi facesse sentire meno solo. E’ anche successo che “Giulio” fossi io.
    E, guarda: nel leggerti direi che in questo momento sei… tu! 🙂
    Mi hai fatto venir voglia di raccontare qualcosa a mia volta, anche per non perdere il pensiero che mi hai suscitato e quindi lo butto giù qui, come viene.
    Talvolta mi sembra che le persone che sono (anche) atee, si abituino a percepirsi per difetto, quando invece, almeno nel mio caso, mi accorgo di quanta forza, di quanto coraggio, di quanta bellezza ci sia nel guardare la realtà in modo essenziale, umano, diretto. Talvolta me ne commuovo addirittura. E mi accorgo di quanto sia importante comunicarlo, testimoniarlo, condividerlo dove è più difficile (ad esempio in contesti confessionali, o nelle relazioni, con gli affetti…) e di quanto possa essere importante l’abbraccio, la comprensione, la solidarietà di altre persone (anche) atee.
    So che può sembrare paradossale per una religione, ma il significato più spaventoso della parola “solitudine” l’ho imparato nel cattolicesimo, quando ero circondato da credenti, rituali, esperienze, gruppi, comunità.
    Ci sono dei percorsi di vita, di riflessione, di scoperte esistenziali… (come quelli che riguardano la consapevolezza che non esiste alcun dio) che sono spesso solitari, difficili, dolorosi, forti, sinceri, potenti, destabilizzanti: non ho alcun problema a definirli “spirituali”, per il modo in cui scuotono, interrogano, definiscono e spingono alla comprensione del mondo e di sé stessi.
    Riflettere sulla vita, cercare le risposte, trovarle, perderle, ritrovarle, testarle, crescere, cambiare, camminare… è un viaggio da testimoniare e condividere per TUTTI, credenti e non credenti e questa essenziale condivisione dovrebbe trovare spazio in ogni contesto senza venire soffocata o svalutata dalla religione.
    Tutt’ora le cerimonie cattoliche mi mettono profondamente a disagio (un tempo cantavo e suonavo in chiesa), non solo i funerali. I motivi sono biografici ma non solo: percepisco sempre un grandissimo senso di vuoto, di svalutazione del sentire umano e non religioso, di manipolazione, di arroganza, di sfruttamento ideologico… mentre adoro tutti quei momenti in cui le persone stanno semplicemente insieme, condividendo, conoscendosi, in modo umano, essenziale, “spirituale” ma in un senso “relazionale”, al di là dell’essere credenti o meno. 🙂
    Questa condivisione può anche avvenire nei momenti di lutto e nei passaggi importanti della vita. O anche, semplicemente, in momenti di incontro e condivisione.

    Mi sono sempre chiesto come affrontare la relazione con la religiosità formale che purtroppo viene ancora diffusa attraverso l’addestramento psicologico dei giovanissimi, come è successo alla mia generazione in un paesino ed in una regione estremamente religiosi.
    Ho deciso di raccontarmi, di spiegare alle persone quello che vivo e che sento, la mia storia, le mie emozioni, il modo in cui la religione sminuisce, svilisce, discrimina, svaluta per persone non credenti (o le costringe dentro cornici idelogiche loro malgrado) e a mia volta ascolto gli altri.
    Ci vogliono tempo e pazienza, e superare la paura di essere sgradevoli o di mettere in crisi. Nel mondo cattolico non c’è spazio per le persone atee, che spesso sono persone che hanno partecipato alla vita delle comunità fin da piccoli sviluppando la consapevolezza di essere non credenti proprio lì.
    Anche per questo non partecipo più a nessun evento religioso, né festeggio alcunché di religioso, per nessun motivo, ma, appunto, mi prendo il tempo di comunicare, di permettere agli altri di comprendere, mi metto a disposizione per ascoltare e per suggerire alternative laiche (che sono davvero per tutti) e dove sia importante essere presente, contatto le persone, mi faccio vivo, faccio sentire la mia vicinanza umana. Chiudo una finestra formale e discriminatoria verso le persone che non possono essere religiose (come me), e apro a possibilità di incontro e condivisione che sono per tutti.
    O quantomeno, nel piccolissimo personale, ci provo.
    Boh… magari un giorno le chiese, invece di essere luoghi di manipolazione, propaganda, plagio e sfruttamento degli altri, diventeranno dei luoghi di incontro, scambio, relazione… E così anche i gruppi, le comunità…

    Non so se sia una buona idea, ma mi sembra più vero e più “spirituale” di quanto abbia fatto in passato assecondando da credente o assecondando la religione e la spregiudicata manipolazione che mette in atto la Chiesa.
    Ma comprendo e rispetto i percorsi e le scelte differenti.

    Magari anche questo è un modo diverso di essere un “Giulio” per chi lo cerca. 🙂

    Un abbraccione.

    Frank

    • Ciao, Frank.

      Anche se piuttosto tardivo, volevo ringraziarti per la risposta. Mi piace
      l’idea di poter essere anch’io Giulio! È una bella prospettiva.

      Penso di aver sentito proprio quel vuoto di cui parli: l’impressione che a contare non sia il defunto, né chi resta, ma la narrativa del divino, che – per riprendere l’analogia del celebrante – a differenza del sole viene percepito solo quelli che ci credono. E probabilmente neanche da tutti.

      Dici che prendi il tempo per comunicare e suggerire alternative laiche, suppongo tu stia parlando dei funerali laici, argomento interessante di cui ho sentito parlare in un video di Sapiens Sapiens. O stai parlando di altro?

      Se ho capito bene, argomento utilissimo, perché prima o dopo bisogna ocuparsene! Ho apprezzato per altro l’articolo “R.I.P. Choam” su questo blog ( https://www.leternoassente.com/?p=1721 )

      Ciao 🙂

  2. Ciao, Agostino.

    Grazie a te.

    Sappiamo quanto sia importante l’appartenenza ad un gruppo sociale. E penso che sia piuttosto comune, per noi che non crediamo nelle narrative della religione, quella sensazione di non appartenenza che a quanto pare condividi.

    Questo testo è in realtà nato come annotazione personale, scritta poco tempo dopo i fatti narrati. L’ho ripescato dalla mie memorie e condiviso con Choam in seguito (o forse come reazione?) alla lettura dell’articolo dal titolo di Dario, “Dibattere su Dio è inutile”.

    Il collegamento tra le due cose è forse un po’ sottile: condivido il punto di Dario, ma attribuisco al dibattito su Dio (benché inutile) l’effetto benefico di creare una coesione tra noi “impertinenti” (nel senso letterale del termine, per dirla alla Odifreddi). In un certo senso, ironicamente, accade in contrapposizione al fatto che un Dio che non esiste ha effetti tangibili sulla società per mezzo di ci comunque ci crede.

    Quindi sono contento che la mia lettera, per quanto un po’ sconclusionata, abbia avuto l’effetto positivo di farti sentire meno solo! E parimenti ho apprezzato la tua risposta, per le stesse ragioni.

    Un caro saluto

  3. Ti ringrazio, Patta, per il tuo omaggio a Giulio. Mi hai fatto sentire meno solo, perché in Giulio mi sembra di vedere un fratello, un amico, addirittura un altro me stesso.
    Infatti sono anziano, pensionato e non credente; vado in chiesa eccezionalmente solo per qualche funerale e per la cortesia nei confronti di parenti e amici che mi chiedono la presenza. Là, in chiesa, non ripeto formule insensate e non compio movimenti corali stereotipati da marionetta.
    Come Giulio mi definisco “non credente”, e rifiuto l’etichetta di “ateo” che significa “credente in negativo”, rifiuto pure l’etichetta di “agnostico” che per me significa “pigro menefreghista”. Ovviamente rifiuto ogni credenza nelle religioni organizzate, ma non posso escludere una creazione, un principio, un infinito nello spazio e nel tempo che, come tali, sono “a priori”, cioè sconosciuti e inconoscibili.
    Grazie ancora e, se incontri di nuovo Giulio, riferiscigli un apprezzamento da parte mia.
    Agostino

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