Scegliere

Maddalena racconta la propria Storia per «Io senza Dio»


Vengo da una famiglia cattolica ed ero profondamente credente e praticante. Non me la sento di definirmi «bigotta», nemmeno a posteriori, perché ho avuto una mamma meravigliosa che, nella sua semplicità, ha avuto l’intelligenza di tenere Dio separato dalla Chiesa cattolica. «Dio non è come te lo raccontano i preti», mi diceva lei, che aveva subito le sevizie delle suore da ragazzina e le minacce del confessore che la metteva in guardia dal baciare mio padre, allora solo fidanzato, prima di fare la Comunione.

Sono di Bologna, sono laureata in giurisprudenza e ho avuto l’onore e la fortuna di seguire il corso di Diritto canonico con uno dei migliori docenti della materia, proprio poco prima che morisse. A quegli anni risale la mia rottura con l’istituzione Chiesa cattolica. Si vociferava che dalle lezioni del professore si uscisse o atei o preti. Nel primo caso significava aver compreso appieno i testi e le argomentazioni del geniale cattedratico, nel secondo essersi arroccati sulla mentalità bigotta e ottusa che gli dava torto per principio. Bologna «la rossa» era scissa, in seno al suo ateneo, tra chi vedeva la luce abbagliante negli occhi di questo maestro e chi lo detestava. Egli tuttavia, per statura culturale e ideologica oltre che per personalità istrionica, poteva permettersi il lusso di fregarsene del mondo intero e di fare – più o meno – quello che voleva. Gli orrori dell’operato ecclesiastico, la manipolazione e la storpiatura delle Scritture, le invettive contro Paolo di Tarso tuonavano in aula con voce possente, in penosa dissonanza con il fisico esile, minato da un morbo impietoso.

Malgrado i miei punti di forza – una mamma di modesta cultura ma saggia e gli insegnamenti all’avanguardia dell’illustre universitario –, l’indottrinamento, sia esso volontario o di matrice sociale, purtroppo si paga. A 20 anni detestavo la Chiesa ma amavo Dio, perciò ogni domenica ero a Messa, possibilmente alla prima funzione per non avere esibizionisti chiacchieroni intorno che mi deconcentrassero dalla preghiera.

Morta la mia mamma, giovane lei e altrettanto io, mi sono ritrovata circondata da atei: tutti i miei amici lo erano, così come mio marito. Da buona etrusca, sono comunista. Ho frequentato il liceo classico, innamorandomi della filosofia. Ho avuto il privilegio di viaggiare molto con la mia famiglia. Il contesto culturale mi aveva aperto la mente all’«altro»: allo straniero, all’omosessuale, all’emarginato, al misero (per mezzi o per animo). Nessun contrasto dunque con i miscredenti: io ho sempre rispettato il loro ateismo, loro non hanno mai deriso il mio appuntamento domenicale con la Comunione.

Non saprei dire quante volte sono uscita dalla funzione religiosa con la nausea. Bologna ha chiese stupende e io avevo l’abitudine di cambiarne una tutte le domeniche alla ricerca di un sacerdote che conoscesse la Bibbia, che portasse la «buona novella» alla gente, che spiegasse il Vangelo con convinzione e non per mestiere. Raramente ho trovato un prete che non fosse un mero impiegato statale, che parlasse di speranza e non solo di costrizioni, precetti, ammonimenti, peccato, Satana, inferno, dannazione eterna. Studiavo le Scritture – parlo del Vangelo, in particolare – e ne traevo un messaggio di libertà che ogni domenica veniva disatteso, infrangendosi sui pulpiti di preti dalla mentalità farisaica, spesso convinti che il Vangelo di Giovanni fosse stato scritto dall’apostolo ai piedi della croce.

Nel mio lungo errare alla ricerca di un Gesù che sentivo realmente presente nell’eucaristia – altrimenti non mi sarei sottoposta alla tortura delle prediche a opera di ministri che di teologia ne sapevano meno di me! – ho finalmente trovato un prete degno di questo nome, profondamente credente, che dal pulpito dava vita alle Scritture e, nella sua semplice quotidianità, donava compassione, speranza, misericordia, amore verso Dio e verso il prossimo.

«Qual è dunque il punto?», si starà chiedendo chi spero abbia la pazienza di arrivare in fondo a questo scritto. Sono una cattolica, anticlericale, che credeva in Dio ma non nella Chiesa – quindi incoerente! – e che finalmente ha trovato un prete degno di questo nome. Perché dunque non mi fermo qui, evitando di tediare il lettore? Giusto? No.

No, perché è stato proprio quel prete, che ha lottato anni per demolire i miei sensi di colpa, che mi ha incoraggiata a vivere quando la vita stessa pareva rifiutarmi, che ha reciso in me il senso di inferiorità intellettuale mutuato dai banchi della dottrina ecclesiastica, a farmi conoscere il canale di Choam Goldberg. Per giunta, qualora non bastasse, il presbitero di cui sopra come primo video mi ha consigliato di guardare «Il prete buono».

Se io potessi riferire tutte le parolacce che ho rivolto a Choam nell’ascoltarlo in quell’occasione, esse farebbero apparire il suo turpiloquio un linguaggio da educande. Finché l’oratore, con cognizione di causa, criticava la Chiesa cattolica, esultavo. Ma dire che non ci fossero preti «buoni» non glielo perdonavo, perché era stato proprio uno di loro a salvarmi la vita.

YouTube – si sa – propone video in sequenza. In ogni momento libero della giornata io ascoltavo Choam. Non me ne importava proprio nulla della sua maschera, tante volte messa alla gogna dai bigotti, poiché io, con le cuffiette, affaccendata in mille cose, lo schermo nemmeno lo guardavo. Né mi ha mai turbata il filtro vocale, perché le sue parole arrivavano fin troppo chiare al mio cuore imbrigliato dalle paratie di dogmi preconfezionati e stantii. Non mi infastidiva nemmeno il turpiloquio, poiché strumento di enfatizzazione di un pensiero lineare, pulito, chiaro ed espresso in un italiano elegante che dava ristoro alla mia mente, impigrita da un mondo lessicalmente povero e sgrammaticato come quello che ci circonda.

Non so dire quanti video de «L’Eterno Assente» ho ascoltato. Non mi azzardo a scrivere «tutti» perché non ne sono certa, ma ricordo senz’altro quello che ha fatto breccia dentro di me, ribaltando la chiave di lettura di tutti quelli che fino ad allora avevo seguito. Si tratta del video «Che fate?», dedicato alla suora che separa le due modelle che si baciano nel corso di un servizio fotografico. Fino a quando il commento di Choam stroncava l’atteggiamento della religiosa, io annuivo. Quando invece lui stesso, proprio in coda, ha evidenziato la coerenza della monaca definendola «la rappresentazione plastica di ciò che la Chiesa è», io ho messo in pausa, mi sono seduta e ho capito.

A più di 50 anni anni ho compreso quanto fosse importante, per me, scegliere. Per 30 anni avevo ricordato con ammirazione lo storico professore di Diritto canonico, mi ero tappata il naso di fronte ai preti ignoranti o addirittura atei, all’insegna del «tanto Dio è un’altra cosa», avevo represso il senso di nausea profondo per i crimini della Chiesa, passati e recentissimi, avevo condannato – ma seguito! – un’associazione a delinquere che, come prima colpa, ha proprio quella di aver venduto fumo. Nell’ascoltare «Che fate?» si è squarciato il velo di Maya, quello che mi impediva di cogliere fino in fondo le riflessioni di Choam sul Dio abramitico, il quale, se permette la sofferenza, non è onnipotente, onnisciente e soprattutto non può essere buono. La sua voce che ripeteva «Non può o non vuole?» – sono sincera – mi ha tormentata per giornate intere.

Il «sacerdote illuminato» che alla mia metamorfosi aveva dato inizio – peraltro, giova evidenziarlo, non per vezzo, bensì per infondermi il coraggio di allontanarmi da una situazione drammatica, di cui ero vittima e dalla quale non prendevo le distanze anche per il cattolicesimo di cui ero inconsciamente intrisa – di fronte alle mie incalzanti domande sulla fondatezza delle affermazioni di Choam da un punto di vista teologico mi ha segnalato altri canali che potessero dare risposta ai tanti dubbi che, per mancanza di tempo, egli non poteva esaustivamente dissipare. Le voci di Sapiens Sapiens, Progetto Context, Osa Sapere e Padre Kayn sono diventate, insieme con quelle di Choam, compagne di lunghe notti insonni.

Io non sono una teologa e la mia cultura nemmeno si avvicina a quella delle persone poc’anzi menzionate, tuttavia sono molto curiosa e, se posso capire o imparare, lo faccio volentieri. La conoscenza però porta con sé enormi responsabilità: è nell’apprendere che si sperimenta la solitudine, quella vera, perché quando le illusioni crollano si amputa ogni speranza e – duole ammetterlo – con essa la parte più intima di sé. Perdere la fede può essere un lutto invalidante che, come tutte le tragedie, si vive un minuto alla volta, avanzando al buio e cercando a tentoni l’appiglio successivo, sperando – perché dire pregando diventa un ossimoro – che regga. Malgrado la mia espressione possa apparire forte, la fede è una droga, e il cuore tarda, in confronto alla mente, a disintossicarsi. Quanto ho desiderato che qualcuno, magari proprio una delle teste coronate della teologia, replicasse con logica e argomentazioni forti ai ragionamenti di Choam, così ben fondati. Come avrei voluto che questi ministri del culto cattolico, tronfi nelle loro porpore, che giudicano il mondo sotto lo stendardo della loro fede fasulla, fossero stati in grado di contraddirlo, rispondendo alla sfida della teodicea. Invece nulla. Il nulla, oserei dire, al di là del vacuo «Mistero della fede».

Dubito che il lettore, a questo punto, non si stia chiedendo: «E il prete? Ha avuto il coraggio di sciogliere il capestro?».

Sì. Il «don» ce l’ha fatta: ha cominciato il lunghissimo percorso di laicizzazione, traendo forza da un’integrità morale di raro spessore e da una coerenza eroica che gli sta, metaforicamente, costando la vita. Non si pensi che i bigotti si scaglino solo contro gli atei: massacrano anche i propri simili e lacerano a morsi la mano che li ha nutriti fino a un istante prima. Il «don luce», che per più di 23 anni ha regalato arcobaleni a chiunque gli si avvicinasse, per ora è al buio e sta versando un tributo salatissimo per aver smesso di credere in un Dio onnisciente, onnipotente e buono, rifiutandosi di perpetrarne l’inganno agli occhi che lo guardavano con fiducia. Si può supporre che il Vaticano agevoli chi fa una scelta del genere? Il pericoloso integralismo dei bigotti può conoscere empatia, compassione, bontà, generosità? Questo sacerdote potrebbe far capire a una tale massa di «minus habens» che la sua consapevolezza è il frutto di anni di studio incessante e meticoloso, di meditazione e di incommensurabile sofferenza? Ai pensanti l’ardua sentenza.

La verità costa e l’onestà intellettuale massacra. Il sacerdote che, per pura, convintissima, inusuale vocazione aveva fatto dell’amore a Dio il suo stendardo di vita, ha avuto l’ardire di lasciarlo quando ha perso la fede. Se io, guardando il video «Il prete buono», ne ho insultato l’autore, quel sacerdote responsabile e saggio gli ha dato ragione, fino alle conseguenze estreme.

È tempo di conclusioni. Occorrerebbe un romanzo per descrivere quello che provo ora, ma non è questo lo scopo di queste pagine. Dio – o meglio l’illusione di Dio – mi manca più dell’aria che respiro! Quante volte, d’istinto, guardo il cielo alla ricerca di ciò che non c’è mai stato, ma che io vedevo e amavo profondamente. Non conosco parole che possano esprimere la desolazione che sento quando, nei tanti momenti difficili, chiedo aiuto e so che alla mia invocazione faranno eco solo il silenzio e lo smarrimento. Eppure so ancora ridere, sperare e amare il prossimo, pur senza doverne rendere conto a un’istituzione.

Scrivere è sempre un rischio: ci si mette a nudo, si racconta e si rilegge sé stessi. Se mi sono azzardata a farlo è solo per chiedere proprio al mio «amico» Choam di non desistere nella sua opera, soprattutto dopo il recente, crudele episodio di doxing di cui è stato vittima. Spero che egli non si lasci prendere da un comprensibile sconforto di fronte alle opinioni stolte di Franchi o de L’asina loquace, che non imparerà mai che cos’è un sillogismo, dinanzi a uno Zambelli che contraddice sé stesso, davanti ai pensieri scioccanti di uno Zenone che definisce lo stupro un peccato di debolezza. La speranza è che L’Eterno Assente prosegua nel suo paziente lavoro: per me, per i rari «sacerdoti illuminati», per le persone in penombra e senza voce, convinte che per la stupidità non ci sia rimedio ma per l’ignoranza sì. In un video Choam si augurava che le sue parole potessero giovare anche solo a una persona. In realtà sono in molti ad aver tratto beneficio dalle sue conversazioni: io, per correttezza, ne ho menzionate solo due, ma si tenga conto che, se il mio è un volto fra tanti, il «sacerdote illuminato» è l’immagine della speranza in un mondo libero da vincoli, stereotipi e costrizioni spietate.

A te, nobile uomo mascherato, solo un grazie. Sono ben cosciente di quanto riduttiva possa apparire la mia espressione. D’altronde – è noto – la gratitudine non conosce parole.

Maddalena

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7 pensieri su “Scegliere

  1. Ringrazio Maddalena per la sua testimonianza, l’ho trovata commovente. Io sono stato fortunato, sono nato in un contesto in cui la pressione religiosa era quasi nulla ed il mio percorso verso la consapevolezza di essere miscredente (lo preferisco alla definizione di ateo) è stato lineare e privo di complicazioni sociali ed emotive. Per questo resto sempre basito quando vedo quanto dolore possono generare il pensiero religioso e gli ambiti che ne sono intrisi. Per questo provo ammirazione per chi ha l’onestà e la forza intellettuale ed emotiva di abbandonare quelle idee e quei contesti sociali.

  2. Ciao Maddalena e grazie per la testimonianza. 🙂

    Sì, quei video di Choam sono molto fighi!

    Mi riconosco in molti aspetti che racconti. Davvero.
    “Dentro” li sento anche miei.
    Le storie come la tua, l’incontro e il dialogo con altri atei sul piano umano e relazionale, sono importanti per legittimare dei percorsi di vita che sono davvero forti, profondi, pieni di verità e dignità… e che rischiano di rimanere silenziosi e sconosciuti, se non proprio svalutati o negati.
    Significa consentire a chi vive (spesso anonimamente) esperienze simili di percepire meno la solitudine, di riconoscere il valore di un cammino interiore sì personale ma che si può socializzare e condividere (anche per spezzare le ferite sociali, affettive, relazionali che la religione può infliggere), persino di provare a tracciare degli orizzonti alternativi (o a scoprirli dentro di sé), più giusti per chi passa da esperienze di condizionamento e programmazione psicologica come quelle di chi ha compreso da credente il tipo di manipolazione che mette in atto il cattolicesimo.

    Se tu e l’altra persona coraggiosa di cui racconti avete voglia o bisogno di incontro, confronto, scambio, dialogo, supporto, discretamente e umanamente… ci siamo!

    Un super abbraccio. 🙂

    Frank.

  3. Grazie Maddalena per aver condiviso la tua esperienza. La cosa che dispiace di più a sentire la tua storia, ma anche quelle di altri, è il senso di vuoto, di smarrimento.
    Io sono stato fortunato e, come descritto nella mia storia, il passaggio è stato indolore, nonostante quarant’anni di cristianesimo militante.
    Non posso fare altro che concordare con le parole di Rossella, ed augurarti lo stesso:
    “𝐔𝐧 𝐠𝐢𝐨𝐫𝐧𝐨, 𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐥𝐨𝐧𝐭𝐚𝐧𝐨, 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐪𝐮𝐢𝐬𝐭𝐚𝐭𝐚 𝐥𝐢𝐛𝐞𝐫𝐭𝐚̀ 𝐭𝐢 𝐟𝐚𝐫𝐚̀ 𝐬𝐞𝐧𝐭𝐢𝐫𝐞 𝐥𝐞𝐠𝐠𝐞𝐫𝐚.”
    Ora posso veramente sperimentare questa leggerezza.

  4. Mettersi a nudo è l’unico modo umano, molto umano, troppo umano, per essere veri.
    Leggerti ha illuminato l’inizio di questa mia giornata, e ritengo che potrà risultare utile al percorso di chi, schiavo del “nulla” ma cosciente dello stato di cattività che lo lega al potente e iniquo mostro falsamente rassicurante che ben conosciamo, è vicino a spezzare le catene. È per questo che diffonderò la tua testimonianza, affinché arrivi ad altri umani.
    “Il pericoloso integralismo dei bigotti può conoscere empatia, compassione, bontà, generosità?”- Risposta: NO, l’empatia ce l’hai tu, non certo loro.
    “Dio – o meglio l’illusione di Dio – mi manca più dell’aria che respiro!”- Un giorno, e non lontano, questa conquistata libertà ti farà sentire leggera. Posso consigliarti di unirti al gruppo Discord di Choam?
    Un abbraccio
    Mora

  5. Che dire, una testimonianza toccante. La dimostrazione di come l’indottrinamento, nel momento in cui si scontra con il nostro io più critico, è portatore di danni. Un po’ tutti noi ati siamo passati attraverso il dubbio e la colpa, almeno per me è stato così. aanche se tutto sommato non sono mai stato un credente saldamente attaccato a Dio, nonostante da giovanissimo parlassi addirittura con Gesù, e nonostante abbia avuto modo di frequentare una scuola musicale cattolica. Il mio distacco tutto sommato è stato meno traumatico, anche se ha paassato diversi step, comprso il buddismo. Ora sono libero, i sensi di colpa sono solo miei, e riguardano me stesso e non certo il rapporto con una divinità iindagatrice, e sono arrivato ad essere sereno nella completa assenza divina. Frega proprio un bel niente. sono libero come un aquila che aleggia nel cielo in un silenzio pieno di pace, rotto solo dal sibilo del vento. Ti auguro quindi di riuscire al più presto di scrollarti l’ultimo velo che ingrigisce la tua intima essenza. Forse è troppo presto, forse non è nemmeno indicato, però abbiamo un gruppetto di maledetti miscredenti che a volte si confrontano non solo su temi religiosi, ma anche su ciò che siamo noi. Chiedere a Choam. Un abbraccio.

    • «Ma lei… è ZORRO??»

      Ho rivisto e ri-apprezzato quel video.

      Devo dire per altro che mi piaceva molto la vecchia musica di sottofondo.

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