Andata e ritorno

Fabrizio racconta la propria Storia per «Io senza Dio»


Quando seppi che Papa Wojtyla stava morendo, pensai che i giochi erano fatti. Non ero un credente, più tardi mi sarei definito un agnostico superficiale, ma quella cattolica mi era sempre sembrata una religione assurda, buona per un popolino ingenuo. Quindi, morto quel Papa, la mia previsione era quella di un rapido declino. Così rimasi sorpreso nel constatare che, alla notizia dell’avvenuto decesso del Papa, avevo provato una sorta di profondo dispiacere. Non solo: vedendo quell’onda di commozione che stava attraversando il mondo, ricordo che mi chiesi «Ma quindi il Cristianesimo potrebbe essere vero?». In particolare mi pareva che la questione fondamentale fosse il peccato originale. Poteva essere davvero accaduto? Decisi di approfondire e da quel momento cominciai a considerarmi una sorta di convertito.

Iniziai a leggere: testi di apologetica, Messori, filosofi cristiani, Agostino, Tommaso, ma anche contemporanei come Augusto Del Noce. Rimasi affascinato dalla pretesa cristiana. Di una cosa mi resi conto subito: la stragrande maggioranza dei credenti non aveva idea di che cosa fossero i contenuti della fede che professava. Mi iscrissi a un corso di laurea triennale in scienze religiose. Ricordo che provavo un sorta di piacere nel vedere le facce smarrite dei miei compagni di studi, quando le loro idee di una «religione dell’amore» si scontravano con i contenuti biblici che studiavamo, spesso brutali, con concetti come l’inferno, la morale sessuale, la durezza evangelica.

Io un po’ godevo, perché questa «assurdità» della fede mi sembrava di per sé un buon motivo per seguirla: «Credo quia absurdum», appunto. Ero affascinato dal carattere paradossale del credo cristiano, mi sembrava che fosse l’unico capace di rispondere alla condizione drammatica dell’essere umano. Una risposta di tipo non razionale ma spirituale, il salto della fede. Tuttavia ero anche convinto della compatibilità tra fede e ragione, secondo i contenuti della «Fides et ratio».

Eppure non smettevo di farmi domande. Non mi riconoscevo in quei credenti che consideravano la fede come un porto sicuro, un approdo definitivo. Soffrivo – cosa che capii più tardi – di quella dissonanza cognitiva tra fede creduta e vita vissuta.

Conseguii la laurea con il massimo dei voti e decisi di iscrivermi anche al biennio successivo, con la possibile prospettiva di diventare poi insegnante di religione. Cominciavo però a rendermi conto che mi stava mancando qualcosa di essenziale. Avevo passato anni a divorare testi di saggistica cattolica, ma mi sembrava ormai di stare girando in tondo. Messori, campione degli apologeti che era stato il mio idolo, cominciò ad apparirmi stancamente ripetitivo.

Poi un giorno il professore di filosofia ci pose una domanda: «Com’è possibile essere veramente liberi se Dio è onnisciente?». Per me quello fu l’inizio della fine. Ricordo gli sguardi smarriti dei miei compagni di studi, le risposte balbettate, le ipotesi strampalate che non stavano in piedi, alla fine il solito salvataggio in corner del «mistero della fede». Quella domanda fu come una goccia che scava la roccia. Continuava a ossessionarmi.

Da lì fu come tirare il filo di lana del maglione che si srotola: era cominciata la mia deconversione. Senza libero arbitrio non c’è «colpa», e senza colpa non c’è necessità di essere salvati. L’edificio cominciò a venire giù pezzo dopo pezzo.

Zoomai indietro. Il senso ultimo di questa «storia della Salvezza» cominciava a non avere più senso. Sentii il bisogno di fermarmi, di riemergere dall’apnea delle congetture teologico-filosofiche nella quale mi ero immerso e di tornare a respirare e a vivere. A guardare gli altri e me stesso senza l’ombra del giudizio, della prospettiva metafisica. A vivere giorno per giorno. Guardandomi indietro, considero la mia esperienza in maniera positiva: ho avuto la possibilità di conoscere la mentalità religiosa dal di dentro, abbracciandola come mia per più di 10 anni, prima di uscirne con cognizione di causa. E continuare il viaggio più leggero.

Fabrizio

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6 pensieri su “Andata e ritorno

  1. Io sono sempre stato ribelle, ho provato per amore di una ragazza big8a, a sottomettermi alla religione ed alle sue assurdità specie in campo sessuale che é una vera ossessione per la religione, ovviamente ho fatto il botto e per poco non ci lasciavo cervello e penne, già non ho mai sopportato i datori di lavoro (ormai ho 64 anni e non ne ho più) figuriamoci se dovevo sopportare un qualcosa senza volto, inafferrabile ed incomprensibile e sottomettermi al suo giogo. Se si comincia un serio studio della religione e dei suoi dettami con spirito critico e ragionamento (come hai fatto tu) non c’é scampo, é solo una questione di tempo prima di lasciarla perdere tante sono le assurdità dei testi sacri a cui si aggiungono le ridicole assurdità dei vari fuffologi che cercano in tutti i modi di poter rendere valide e veritiere la marea di cazzate dei testi sacri

  2. Ciao Fabrizio, avrei due domande. Vedo che hai subito notato l’incongruenza tra la religione dell’amore e i racconti biblici, come mai hanno risvegliato in te solo delle domande e non sono stati sufficienti per staccarsi dalla religione? Poi come mai il paradosso dell’onniscienza relativo al LA è stato così definitivo? Come mai le giustificazioni non sono state convincenti?

    • Ciao Raffaele, ottime domande. Riguardo la prima, come ho scritto, mi piaceva questo aspetto “scandaloso” della Bibbia, soprattutto nei confronti di quel Cristianesimo all’acqua di rose dal quale ero circondato. Vittorio Messori lo definisce l’ Et-Et, cioè la coesistenza di principi apparentemente opposti nella medesima fede. Peccato che per sostenere questa tesi occorra ricorrere ad un sacrificio (il che per il Cristianesimo non è certo una novità) quello della coerenza e della logica. In più, devi capire che io eri convinto della verità del Cristianesimo, soprattutto della centralità della figura di Gesù che consideravo capace di tenere insieme in sé queste tensioni insanabili. In effetti il paradosso mi affascinava e mi affascina ancora. Questo, tra l’altro, mi portò ad avvicinarmi ad ambienti tradizionalisti e addirittura sedevacantisti, perché li trovavo decisamente più coerenti. Matti da legare, ma coerenti. Riguardo invece il secondo problema, all’ epoca il dubbio aveva cominciato a farsi strada, e uno degli aspetti più inquietanti era rappresentato dalla predestinazione, logica conseguenza dell’ onniscienza divina. Com’ è noto la Chiesa cattolica rigetta tale dottrina, ma a mio parere senza argomentazioni veramente valide. E per me quello fu abbastanza per non riuscire più a credere in un Dio amorevole. Un caro saluto.

      • Grazie. Pensa io invece ero convinto di parlare con Gesù, facevo domande e lui mi rispondeva. Peccato che poi le risposte erano scollegate dalla realtà. Ad esempio “chiedevo” se il giorno dopo sarei stato interrogato, nell mia testa mi “rispondeva” con un no e io evitavo di studiare. Ovviamente il giorno dopo venivo immancabilmente chiamato a fare il mio show alla lavagna, e non avendo studiato prendevo 3. Alla fine ero arrivato a credere che Gesù mentisse per il mio bene, per farmi studiare, una sequela di sensi di colpi che non ti dico. Alla fine il mio è stato un rigetto totale, un po’ di buddismo (che non fa mai male) e alla fine la matura consapevolezza dell’inesistenza di siffatta divinità. Più per motivi scientifici che filosofici o altro, e ripensandoci non so nemmeno cosa ci trovavo in questo rapporto particolare con Gesù…bho…che poi la mia famiglia non era neppure particolarmente religiosa.

  3. Molto interessante Fabrizio. Molto ben scritto. I racconti di “deconversione” hanno sempre questo filo comune: credo, mi faccio delle domande, ho dei dubbi, studio e capisco. Ne ho letti molti (pensa a Bart Herman) e tutti hanno dietro la capacità di mettere in discussione le proprie certezze. Compliment!

    • Grazie Pierpaolo, citando un intellettuale di sinistra (di cui non ricordo il nome) “mi piace pensare contro me stesso”. È una ginnastica mentale che spero di poter continuare a fare a lungo.

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