La valanga

Patta racconta la propria Storia per «Io senza Dio».


Questa è la storia di come mi sono emancipato dalla religione, di come ho sconfitto la dissonanza cognitiva e di come mi sono liberato di quella vocina che, da tempo, urlava che il re è nudo.

Mi sono fatto l’idea che per alcune persone questo sia un percorso sofferto, perché costringe a rimettere in discussione il proprio credo, mentre per altre sia una liberazione da tante ansie irrazionali, che porta infine a una maggiore serenità. Io appartengo al secondo gruppo.

La mia è stata un’infanzia felice, priva di particolari eventi traumatici. Come tanti italiani della mia generazione, ho ricevuto un’educazione religiosa in una fase della vita in cui non ci si pongono grosse domande. Non sono mai stato un super religioso, né il tipo di personaggio che canta canzoni imbarazzanti in chiesa, va a vedere il Papa o frequenta assiduamente la parrocchia. Tuttavia posso dire di essere più ferrato del credente medio sulla dottrina cattolica. Ad esempio sapevo il significato di «transustanziazione» ben prima di divenire ateo.

Posso dire di essere mai stato credente?

Dal punto di vista religioso, la figura materna è stata molto influente. A un certo punto mia madre abboccò all’amo delle apparizioni mariane e da quel momento mi trasmise un senso di inquietudine legato alla religiosità. Un essere soprannaturale viene ad avvisare l’umanità di terribili catastrofi e punizioni divine. Il tempo dei segreti è vicino. Conversione e preghiera per scongiurare le terribili cose che devono accadere. Se non lo fai, finirai un giorno per pentirti di non aver fatto qualcosa finché si poteva.

Sicuramente ho avuto dei periodi in cui questo mi ha portato a un certo fervore. Eppure, se mi avessero chiesto se credessi in Dio, avrei dovuto sforzarmi per rispondere di sì. Credevo come un bambino che si fida di quel che crede la mamma, ma con una sfumatura di timore. La mia adolescenza non è stata caratterizzata da una forte ribellione, e non ho mai messo in discussione un granché di quello che avevo accettato passivamente nell’infanzia.

Ho un ricordo ben definito, risalente alla mia tarda adolescenza: stavo leggendo «Il Signore degli Anelli», inquieto all’idea che qualcosa di terribile stesse per succedere. Ricordo di aver pregato di riuscire a terminare il libro prima che… già, prima che cosa?

Al di fuori di questa situazione di disagio, la mia vita era quella di uno studente promettente. Finite le scuole Superiori, frequentai un’università scientifica, lontano dallo sbraitare di Padre Livio alla radio e dai continui discorsi di politica fascistoide, per i quali provavo un certo fastidio. Mescolando scienza e buonumore, non pensavo certo all’apocalisse, ma purtroppo non posso neanche dire di aver acquisito l’attitudine al pensiero critico. A posteriori ritengo che sarebbe stato utile un corso sul metodo scientifico: forse mi avrebbe aiutato a uscirne prima.

Fresco di laurea, decisi di trasferirmi all’estero per lavoro, allontanandomi ulteriormente dalle influenze materne. Trovai supporto nella comunità cattolica italiana, dunque continuai a frequentare la Chiesa, sia come forma di socializzazione sia come attività che è giusto svolgere, ma sempre senza pormi grandi domande sul senso di quello che facevo.

Un giorno mi fu proposto di fare il catechista, ruolo che accettai con riluttanza, considerandolo una responsabilità. Paradossalmente – ma forse non tanto – da quel momento iniziarono i miei primi dubbi. Nel prepararmi adottai il rigore che riservo all’ambito professionale, così mi accorsi di inconsistenze, definizioni circolari e altri papocchi che affliggono la dottrina. Dottrina su cui peraltro il materiale didattico glissa clamorosamente. Alle mie domande per email, volte a capire il significato di certe cose – ad esempio, che cosa significa che lo Spirito Santo procede dal Padre? –, il sacerdote rispondeva con elaborati giri di parole che mi lasciavano insoddisfatto. Oggi li definirei supercazzole.

Nel contempo sentivo la necessità di coerenza con quanto insegnavo. Tentai di avere una vita più casta, finendo per chiedermi perché Dio mi avesse creato con delle pulsioni sessuali che poi non mi era permesso esprimere. Da lì per estensione tante altre domande scomode. In tutto ciò però non avevo ancora mangiato la foglia.

Poi però arrivò il covid-19. Dall’estero non vissi l’isteria di massa che ha colpito l’Italia, ma potei constatare il disagio del complottismo. Le iniezioni di ansiogeni materni, che nella mia lontananza non erano cessate ma avevano preso la forma di messaggi WhatsApp, raggiunsero un nuovo livello di follia.

A quel punto avvertivo un fastidio acceso nei confronti dei copia&incolla di stampo religioso/politico/complottista. Provo imbarazzo e rabbia nell’ammettere che ero ancora sotto l’influsso di quella ridicola paura di fantomatici ammonimenti celesti, così convenientemente generici, e mi sforzavo di trovare argomenti razionali contro le ovvie fanfaluche.

Quando fu di nuovo possibile rientrare in Italia, mi resi conto che la situazione era degenerata. In casa si parlava solo di vaccini, microchip satanici, complotti per sabotare il cristianesimo, naturalmente tutto avallato da presunte apparizioni che avrebbero previsto questo e quello. Ma ormai ero molto incline allo scetticismo e, deciso ad andare a fondo della questione, mi imbattei nel blog di Marco Corvaglia.

Da lì partì la valanga. Infatti, quando si inizia a trovare il coraggio per mettere in discussione ciò che è ammantato di sacralità, in un batter d’occhio nulla sta più in piedi.

La mia decostruzione dell’indottrinamento iniziò nella primavera del 2022. Sulle prime la vivevo come se qualcosa si fosse rotto in me e provavo il desiderio di confrontarmi con chi mi stava accanto. Credo di aver avuto un assaggio del dramma che vive chi vorrebbe fare coming out.
Qualche tempo dopo – non ricordo attraverso quali dinamiche – conobbi il canale YouTube di Padre Kayn, che mi aiutò molto a prendere la religione con la dovuta serietà: nessuna. Iniziai ad ascoltare avidamente vari contenuti sul tema. L’Eterno Assente mi fornì innumerevoli spunti di riflessione, che mi sarebbero stati utili in seguito per difendere la mia posizione: una fase ingiustamente necessaria di questo percorso.

Come forse sarà chiaro dal contesto, io non sono mai stato una persona particolarmente incline alla spiritualità né all’interrogazione sul senso della vita, ma ho ricevuto un’educazione religiosa piuttosto robusta, sebbene distorta dalla lente confessionale. Ho trovato estremamente interessanti i contenuti proposti da Bart Ehrman, che mi hanno consentito di capire l’origine delle narrative alla base del cristianesimo.

Con il tempo è diventato palese anche per chi mi circonda che qualcosa in me è cambiato. Naturalmente ho dovuto sostenere alcune scaramucce in famiglia, anche recenti, visto che è impossibile per mia madre non ficcarci il naso. Pur mantenendo la mia posizione – non che io possa o voglia tornare indietro –, cerco di tenere presente che per una madre credente l’idea che il figlio possa finire tra i dannati è a sua volta una dannazione. Per inciso, mi fa davvero schifo come il cristianesimo giochi pesantemente sul tenere all’amo i credenti con la minaccia della dannazione eterna. Poco conta che oggi si indori la pillola con la supercazzola della «lontananza da Dio».

Invece apprezzo infinitamente il rispetto che mia moglie mi porta, in quella che probabilmente lei reputa una semplice crisi di fede. Vorrei poterle parlare del mio percorso, non con il fine di deconvertirla ma per onestà e trasparenza. Tastando il terreno trovo però una certa resistenza, per cui dovrò aspettare, pur senza compromettere la mia coerenza.

In conclusione, eccomi qui. Non sono certo un ateo militante, ma sicuramente un ateo convinto. Agnostico (non so se c’è un essere superiore), ateo (non credo in alcuna divinità) e largamente scettico verso ogni presunta manifestazione di sovrannaturale. Non mi interrogo sul senso della vita, temo la sofferenza ma non la morte, esercito empatia. E sorrido.

Ramen.

Patta

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4 pensieri su “La valanga

  1. Uhm…
    Una moglie che crede che la tua sia una “crisi passeggera” ti faccio i miei migliori auguri in quanto lei tenterà sempre più e con maggior insistenza di “riportarti sulla retta via” e come tua madre si dannerà per la tua dannazione, poi dovrai affrontare il problema battesimo degli eventuali figli
    Saro’ pessimista ma il tuo matrimonio lo vedo un fallimento annunciato

    • Ciao, Natale.

      Spero innanzitutto che il tuo pessimismo non derivi da una simile esperienza, e ti ringrazio per i tuoi “migliori auguri”.

      Mia moglie è stata abituata come me a non mettere certe cose in discussione, ma è una persona intelligente, e rispetto alla mia bigotta madre appartiene ad un’altra generazione, oltre ad essere ben più colta.

      Arriverà sicuramente il momento in cui dovremo confrontarci sulla questione religione, ma non sono affatto pessimista in merito. Conosco delle coppie, qualcuna anche ben rodata, per le quali una simile differenza di vedute non ha portato affatto allo sgretolamento del matrimonio. Ritengo che la chiave di tutto sia il rispetto reciproco, che per noi è una colonna portante.

      Conoscendo mia moglie, se dovesse iniziare a porsi delle domande penso finirebbe per seguire un percorso analogo al mio, anche se credo che lei sarebbe una del “primo gruppo”, ovvero di quelli che devono mettere in discussione il proprio credo.

      Certo, per quanto io lo reputi improbabile, non posso escludere a priori che possa andare a radicalizzarsi nel cristianesimo, e cercare di “riportarmi sulla retta via”. Naturalmente in questo caso toccherebbe a me porre delle domande, sempre con rispetto, ma con fermezza.

      D’altra parte non ho alternativa. Far finta di credere sarebbe irrispettoso nei suoi confronti, oltre che nei miei.

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