Disintossicata

Chiara racconta la propria Storia per «Io senza Dio».


Ecco il racconto di come ho raggiunto la temibile, l’intrepida, l’autentica vetta dell’ateismo.

Per cominciare, prendetevi cinque minuti e immaginatevi uno scenario anni Ottanta. Bimba di buona famiglia, con genitori solo tiepidamente cattolici ma abbastanza danarosi e decisi a garantire la massima protezione alla loro «primogenita preferita» (epiteto ufficiale): scuola salesiana. Nonostante le ottime intenzioni, fu la ricetta per il disastro.

A quattro anni mi sentivo già in colpa per esistere, a cinque facevo la via crucis spontaneamente, a sei reagivo al bullismo porgendo l’altra guancia e a sette…

…a sette…

…a sette scoprii le gioie della masturbazione. Un po’ tardi per gli standard freudiani, ma non andiamo OT: le suore se ne accorsero e mi presero a sberle, per poi chiamare i miei genitori a colloquio. Mio padre, medico, rise dicendo «Ma mie care suore! Tutti i bambini lo fanno!»; purtroppo pensò che fosse una misura sufficiente e non mi levò da quella scuola infernale.

Crebbi piuttosto solitaria, con un’inclinazione decisa per la musica che divenne poi la mia professione, mantenendo da un lato il mio retaggio cattolico e dall’altro le scoperte che la vita mi riservava. Il risultato era un’immensa confusione mista a speranza, ma sempre avvolta da sensi di colpa ammorbanti per ogni desiderio, ogni piacere, dalla pizza al prosecco, dalla musica a un semplice bacio.

A quindici anni scoppiai. Dopo una confessione in chiesa in cui mi dissero che le mie elucubrazioni dovevano certamente essere segno di una vocazione religiosa, mi dichiarai d’improvviso fuori dalla Chiesa. Non volevo più averci a che fare. Nessun problema con i familiari, che non erano mai stati dei fanatici bigotti ma concedevano libertà di pensiero, per cui pensai che l’incubo fosse finito.

E invece un cazzo.

«Datemi un bambino a sette anni e vi mostrerò l’uomo»: quanta verità! Da allora in poi nella mia vita il danno era fatto.

Ne combinai di ogni colore. Carriera nel mondo della musica, relazioni improbabili ma appaganti, viaggi sconsiderati, il tutto sempre guidato da un’insaziabile curiosità verso il mondo e la natura umana. Ma, sul più bello, arrivava sempre l’incubo:

«E se Dio esistesse?»
«E se Dio mi stesse osservando?»
«E se Dio, leggendomi nel pensiero, sapesse che in realtà lo odio?» (Lo odio come Lord Asriel odia l’Autorità nella bella trilogia fantasy di Pullman.)
«E se l’inferno esistesse? Ci sono destinata perché rifiuto il Credo.»
«E se il paradiso esistesse? Peggio che andar di notte, chi lo vuole contemplare in eterno questo Dio? Se proprio l’anima sopravvive, voglio contemplare il volto del mio amato perduto per sempre, oppure ascoltare l’opera omnia di Mahler» (Ma, di nuovo, non andiamo OT.)

Giunsi al 2020 con un unico proposito: liberarmi dell’ossessione di Dio. Ma se fosse esistito? E se Pascal avesse avuto ragione con la sua pavida scommessa? Reagii viaggiando come una furia, partecipando persino a riti macumba e giocando all’antropologa dilettante, per combattere la mia ossessione grazie al relativismo culturale. Mi fu di immenso aiuto e lo raccomando a chiunque navighi in cattive acque!

Odiavo Dio ma credevo in lui finché un giorno, mentre incollavo foto delle mie imprese su un album (avevo una frattura alla caviglia ed ero costretta all’immobilità), non scoprii L’Eterno Assente.

Io non lo sapevo, ma c’ero quasi. Mi mancava solo la spintarella finale: una persona di brillante intelligenza, capace di applicare la logica in modo neutrale, e soprattutto che avesse il coraggio di non farmi sentire sola, ma «compagna» e parte di una community. Sono bastati pochi giorni, poi ho divorato Dawkins e Dennett, poi ho rispolverato Camus e poi Houellebecq – peccato la scivolata nell’ultimo romanzo – e la mia paura di Dio era sparita. E perché?

Perché ho compreso finalmente che, relativamente al concetto di Dio, buono/onnipotente è un binomio assurdo. Volendo proprio esagerare, potrei dichiararmi moderatamente agnostica nei confronti di un Dio buono e poco potente, ma costantemente ostacolato da spiriti maligni (queste sono le concezioni che in cui mi sono imbattuta nei riti indios e afrobrasiliani e, sebbene ovviamente non ci creda, trovo che poggino su basi più sensate di quelle cattoliche).

Oggi sono felicemente atea e forse merito una medaglia per avvenuta disintossicazione, come in Alcolisti Anonimi. Perché a volte credere è comodo, a volte dà conforto. Ma dà conforto anche pensare che ci siano le fatine in giardino, dà conforto anche sbronzarsi, e la vita vera è ben altra cosa, che merita di essere vissuta nel pieno delle nostre facoltà e non intossicata dalla nebbia della menzogna.

Viva la vida!

Chiara

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4 pensieri su “Disintossicata

  1. Conosco quella sensazione, io parlavo con Gesù e ho frequentato l’apostolato liturgico di musica sacra, fortunatamente mi sono salvato dai profondi sensi di colpa. Poi passai al buddismo, ma anche li resistetti poco, sono arrivato ad essere completamente ateo mentre tu andavi ancora dai salesiani! Ora ti manca solo un piccolo passo, raggiungerci nell’antro del peccato…

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