Il mio libero arbitrio

Gëzim racconta la propria Storia per «Io senza Dio».


Penso di essere sempre stato ateo. Dalla nascita.

Sono cresciuto nell’Albania degli anni ’90. Quella affamata e sognatrice. Quella cristiana, ortodossa e musulmana. Quella che allo stesso tempo, nella piazza della sua capitale, dietro a Scanderbeg, l’eroe nazionale che per tutta la vita impedì ai turchi di invadere l’Albania e di sterminare chi si opponeva all’islam, erige una moschea, la più grande del Paese. E io, cresciuto in una cultura che provava a essere musulmana, pur ignorando leggi fondamentali come il consumo del maiale o dell’alcol o anche solo le preghiere quotidiane, iniziai da subito a sentirmi a disagio.

Iniziò tutto da Babbo Natale.

Da noi Babbo Natale arriva il 1. gennaio. Noi eravamo molto poveri. In quegli anni il mio regalo consisteva in un sacchetto di noci, qualche mandarino, qualche fico secco e qualche dattero. Eppure io ero il bambino più felice del mondo. Quando avevo circa 6 anni i miei genitori mi dissero che Babbo Natale mi avrebbe portato un regalo. Avevo già visto Babbo Natale da qualche parte. Forse sulle reti televisive italiane. Eppure qualcosa non mi convinceva. Perciò decisi che dovevo stanarlo. Così rimasi sveglio tutta la notte, convinto che avrei visto il regalo deposto sotto l’albero dai miei genitori. Non successe niente di strano, però la mattina, quando stavo quasi per addormentarmi, vidi mia mamma e mio papà posare sotto l’albero un sacchetto pieno di frutta, qualche noce, dei mandarini. Ero così contento: avevo sempre avuto ragione io, erano loro il mio Babbo Natale. Eppure mi sentivo anche triste: sarebbe stato bello se per qualcuno fossi stato davvero speciale. Il pensiero di Babbo Natale per me è stato come il pensiero di Dio.

In quegli anni fui obbligato ad andare in moschea, perché significava tante cose: non solo pregare, ma anche fare i tornei di calcetto, lavarsi e qualche volta perfino mangiare. E non erano cose scontate. Molto di noi si avvicinarono all’islam per questo.

Mia nonna era molto credente, ma una di quelle credenti per le quali non importa che sia l’islam o il cristianesimo, una moschea o una chiesa, perché Dio ci ascolta in qualunque luogo e ci ama. Però anche questo amore di Dio io non l’ho mai percepito. Io avevo freddo, avevo fame, ma Dio non lo vedevo. In quegli anni gli albanesi morivano per strada come polli, fra l’esodo del ’91 e la guerra del ’97. I miei amici piano piano diventavano ombre. Qualcuno diceva che erano tra le braccia di Dio, e questo mi faceva arrabbiare ancora di più. La morte degli innocenti io proprio non la capivo.

Ricordo forse l’ultimo episodio prima di fuggire dall’Albania con i miei genitori. Eravamo in una chiesa ortodossa che il 15 agosto ospitava musulmani e cattolici. Rammento una croce bianca al centro del giardino. Si era formata una fila di bambini tenuti per mano da donne che arrivava fino a un prete ortodosso. Anche mia nonna mi prese per mano e ci mettemmo in fila. Io, incuriosito, guardai che stava succedendo. Vidi il prete avvicinare il bambino di turno, posargli la mano sulla testa, dire qualche parola, offrire la mano al bambino per fargliela baciare, e la madre allungare al prete una banconota. E via: un altro bambino, un’altra benedizione, un altro bacio sulla mano, un’altra banconota. Io conoscevo bene il valore dei soldi: lo conosci, quando non ne hai nemmeno per comprare un paio di scarpe. Perciò dissi a mia nonna: «Andiamo via. Servono tanti soldi. Sai quanto pane compriamo con questi soldi?». Lei sorrise e rispose che quei soldi erano ben spesi. Perciò rimanemmo in fila. Io mi sentivo sempre più arrabbiato. Alla fine arrivò il mio turno. Me lo trovai davanti, con tunica nera e cappello nero. Mia nonna gli disse: «Questo è il figlio maschio della mia unica figlia femmina. Per favore, benedici la sua vita». Lui mi mise la mano sopra la testa, disse qualcosa che io non compresi e infine mi porse la mano per farsela baciare. Quel gesto – non so perché – mi sembrò il più oltraggioso che io avessi mai subìto, ed è ancora vero oggi, a 33 anni: baciare la mano di un uomo in segno di sottomissione e di venerazione? Fui colto da un accesso di rabbia e gli diedi un calcio fortissimo nelle palle. Subito dopo scappai. Dopo qualche metro mi voltai e lo vidi piegato in due, con mia nonna che cercava di consolarlo. Mi rinchiusi in un bagno pubblico e, ridendo, mi sentii così fiero di me stesso. Poi i miei cugini mi trovarono, qualcuno provò a darmele, infine mi liberai di loro. La sera tornai a casa. Mia nonna il giorno dopo si era dimenticata tutto: ero pur sempre il nipote preferito.

Qualche anno fa qui in Italia, quando operavo come volontario al canile o con le persone bisognose, una signora mi disse: «Che bravo ragazzo! Ma di che religione sei?». Io risposi che non credevo in Dio e lei, spalancando gli occhi, commentò: «Ma dai! Eppure sei così un bravo ragazzo». Ogni tanto sento ancora quella frase risuonarmi in testa: «Eppure sei così un bravo ragazzo». Come se chi non crede non possa avere un buon cuore. Nel mio Paese molto spesso è ancora così. Leggo sotto alcuni post su Facebook qualcuno che scrive: «Pa Zot dhe pa moral», cioè «Senza Dio e senza morale». Come se Dio e la morale andassero di pari passo, come se i religiosi, i preti o gli imam, compresi quelli che nell’islam invitano al taglio delle mani e alla lapidazione, avessero più morale di me che invece senza Dio non posso essere una brava persona.

Poi la vita è passata. Tra genitori di fidanzate credenti a cui dovetti rinunciare per la questione dell’ateo senza morale e altre relazioni concluse solo perché ero albanese. Quest’anno però mi sposo. Sì, mi sposo. Con una ragazza cristiana e credente. La questione del matrimonio in chiesa è stata superata e ci sposeremo all’aperto, in un agriturismo tra le vigne. Però, se un giorno avremo dei bambini, dovremo parlare del battesimo. Infatti sono sicuro che la libera scelta che Dio concede a tutti gli umani debba riguardare anche l’adesione a una fede.

Io sono stato circonciso senza tante storie in un laboratorio in un sottoscala di una casa a Tirana di cui ricordo poco. Solo i familiari che mi tenevano stretto e il dolore allucinante del bisturi nella carne. Il battesimo è molto più sopportabile e non ne conservi memoria, ma il concetto è lo stesso: la libera scelta, così come la coscienza. Se i miei figli un giorno vorranno essere musulmani o cristiani o buddisti, a me importerà solo che sia una scelta libera. Se oggi chiedo ai miei genitori perché mi fecero circoncidere, mi rispondono che lo facevano tutti, che uno zio anziano gli aveva detto che andava fatto e che loro hanno quasi obbedito. Ecco, non si obbedisce alla comunità familiare per necessità: c’è anche la questione morale, così come il dolore inutile o l’ignoranza, ma soprattutto c’è la libera scelta. Nessuno dovrebbe toccare un bambino, né per la circoncisione né per il battesimo né per altro. Libera scelta, libero arbitrio in libera coscienza.

A volte mi viene chiesto perché non credo.

Quando vedevo nelle chiese ortodosse le grandi immagini dorate dei santi, avevo notato che tutti tenevano in mano la Bibbia. Perciò pensai che loro e tutti gli altri credenti vivevano basandosi su un libro ritenuto sacro. E non importa che sia il Corano, l’Antico o il Nuovo testamento o il Mahabharata: seguono precetti e insegnamenti che qualcun altro ha scritto per loro. Ebbene, io non sono mai stato in grado di superare un esame con il quaderno degli appunti di un altro: io avevo il mio quaderno e i miei appunti. Vivere la vita senza Dio è un po’ così: vivi la tua vita con i tuoi ideali. Con i tuoi appunti sull’esistenza e sulla morale. Sbagli, volti pagina, sottolinei, sbagli ancora.

Ecco, io voglio essere così e, se un giorno dovessi scoprire che era tutto sbagliato, sarei comunque felice, perché la mia vita sarà stata vissuta in base ai miei pensieri, al mio cuore e alla mia mente. Il mio Corano, la mia Bibbia, il mio Mahabharata. Il mio libero arbitrio.

Gëzim

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