Emanuele racconta la propria Storia per «Io senza Dio».
Non mi pongo il problema di essere ateo: ci sono nato, ateo. Come tutti, del resto. E non mi è mai fregato niente di apprendere l’amore di un qualsiasi Dio o la sua storia. Se però dovessi scegliere per forza un credo, allora preferirei il politeismo greco-romano, molto più divertente e meno rompipalle. Ma, come tanti della mia età, non ho potuto scegliere niente.
Appena nato, subito a fare il bagnetto magico. Appena in età per pseudo-capire ciò che veniva insegnato, subito al catechismo, per apprendere la Verità, proprio quella con la V maiuscola. Come dicevo, io non ero interessato, ma dovevo frequentare per poter fare la prima Comunione. Non volevo farla, non volevo andare in chiesa, però dovevo, per non essere diverso dagli altri.
In quell’età si inizia a pensare e a ragionare da soli. Si comincia a tirare le somme sulle cose che ci vengono spiegate. Una delle prime che si insegnano ai bambini, almeno di solito, è la seguente: «Se tutti si buttano dal ponte, lo fai anche tu?». Oh, che strano: tu, genitore, che mi dici di buttarmi dal ponte, proprio perché lo fanno tutti. Ma perché? Per non essere diversi? Per conformarsi al resto dei bipedi che si alzano la domenica urlando «Goooal!»?
No, non è per quello, non nel mio caso. Perché io sono nato ateo in una famiglia di atei che ben sapevano cosa voleva dire essere senza Dio in mezzo ai credenti: la discriminazione scorre forte nell’essere umano, ma nella religione cristica è surreale. Perciò gli atei battezzavano i figli – e alcuni lo fanno ancora – per proteggere i bambini dalla cattiveria dei nostri stessi simili.
Me ne resi conto bene, perché durante le ore di religione gli atei venivano presentati male, come persone che non sono meritevoli. Quindi imparai a indossare la maschera del credente medio, anche se nel mio caso era più un sorridere e non parlare. Se stavo zitto, la gente pensava che ero come loro, perciò imparai a nascondermi.
Questo fino all’adolescenza, dove i dubbi arrivano. Volenti o nolenti, arrivano: «E se ci fosse qualcosa?». Ma che cosa? Le religioni abramitiche le potevo escludere a priori, dato che mio padre me le aveva presentate in maniera onesta e razionale. Quindi mi interessai alle religioni orientali, arrivando presto alla conclusione che non differivano da quella nostrana. Però rimasi colpito dallo shintoismo e dal concetto di «energia».
Questo concetto è interessante, perché vuole dire tutto e niente. L’anima diventa una sorta di energia pervasiva, che si snoda anche nella meccanica quantistica. Mentre lo scrivo mi sembra di sentire le bestemmie che ciò vi provoca. A mia discolpa posso solo dire che avevo 14-15 anni e che non conoscevo l’argomento o, meglio, che mi era stato presentato in maniera totalmente sbagliata.
Quindi iniziai ad avere una mia visione mistica, approdando allo sciamanesimo e alla paleoastronautica. Un mix esplosivo che mi dava tante soddisfazioni nel campo dell’abbordaggio, dunque lo portai avanti per un bel po’. Questa visione personale è stata inattaccabile per lungo tempo, anche perché nessuno sapeva controbattere adeguatamente.
Perciò mi trascinai questa roba per molto tempo, anche perché era più accettabile dell’ateismo e lo era diventato anche per me. Però ero costretto a soffocare una vocina che di tanto in tanto mi faceva notare che alcune cose non tornavano. Quella vocina cominciai ad ascoltarla quando ebbi accesso a internet.
Fu nei primi anni del 2000 che iniziai a girare la rete in cerca di informazioni. Contemporaneamente conobbi alcune persone «misticizzanti». Fino ad allora l’idea di Dio era nebulosa, mai veramente rifiutata, solo trasposta in altri pensieri religiosi: una sorta di supercoscienza che aveva dato origine all’universo. Iniziai a divertirtirmi a dissacrare la Bibbia o, meglio, a palesarla ai presunti credenti, mostrando loro le incoerenze e le immoralità presenti nel loro credo.
Vedendo queste persone, che in realtà non sapevano niente di ciò che pregavano, presi coscienza della mia posizione. La vocina mi sussurrava: «Non è che anche tu sei come loro?». E sì, cazzo: ero come loro. Parlavo di fisica quantistica senza averne mai letto qualcosa di serio. Parlavo di archeologia misteriosa senza averla mai approfondita. Ero un fottuto credente. Io, che mi facevo vanto del mio non credere alle verità ufficiali, credevo e basta.
All’epoca non conoscevo il termine «echo chamber», ma il concetto lo avevo capito. Se fossi rimasto a parlare solo con persone che la pensavano come me, non avrei mai fatto altro che credere ciecamente.
Dunque cominciai a cercare nozioni di vario tipo là dove mi si diceva che non aveva senso guardare. Mi si parò dinanzi una mare di cose che non sapevo, di personalità che non conoscevo. Come Margherita Hack, fieramente atea.
Trovandomi nuovamente solo con me stesso, di fronte al dilemma del «Chi sono io?» non ho avuto paura e non mi sono sentito diverso, perché là fuori ci sono altri come me, che non hanno bisogno di un Essere che ci guidi. Ho lavorato molto sulla mia religiosità, smontandola pezzo per pezzo, ritrovandomi semplicemente senza Dio, come sono sempre stato.
Tutte le cose che non mi tornavano ora quadrano perfettamente, in una sola, semplice e stupenda parola: stronzate.
Emanuele
P.S.: Per quanto riguarda le stronzate, vi invito a leggere Harry Frankfurt.
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