rust racconta la propria Storia per «Io senza Dio».
Più ci penso e meno riesco a ricordare un momento della mia mia vita in cui sia stato credente. So di averci provato, non perché trovassi interessante il concetto di fede, bensì per il bisogno di assomigliare agli altri, per amalgamarmi con il contesto. In fondo si inizia per gioco: tutti i bambini lo fanno per questo motivo. A una certa età non si pensa ad altro che a divertirsi, e dove ci sono più bambini è meglio. Infatti gli adulti è proprio questo che ti dicono: «Va’ in parrocchia. Vedrai quanti amichetti!». Quindi tu vai a giocare e non puoi capire che da quel momento inizia un lavaggio del cervello.
Così sono cresciuto, come molti, in un ambiente cattolico. I miei nonni mi portavano a Messa, ho fatto la Comunione e la Cresima, mi sono confessato, ho persino servito Messa da bambino. Ma la fede, anche le poche volte che l’ho cercata per disperazione, mi è sempre scivolata addosso. Così ho iniziato a seguire me stesso e a prendere coscienza del fatto che, ovunque mi trovassi e nonostante mi sforzassi tantissimo per inserirmi, l’unica sensazione che non mi lasciava mai era quella di sentirmi un outsider, un’anomalia del sistema.
Tutto ciò che comporta un gruppo, una comunità, un branco mi ha sempre respinto e vomitato fuori come un boccone indigesto. Questo mi feriva, perché è difficile sentirsi degli emarginati. Credo che questo a volte succeda quando fai qualcosa non perché piace a te ma perché piace agli altri. Così andavo allo stadio nonostante mi facesse schifo il calcio e andavo a Messa nonostante mi sembrasse tutta un’immensa cazzata. Crescendo ho imparato ad accettarmi per quello che sono senza mentire a me stesso. Paradossalmente, da quando ho capito che da soli si può stare molto bene, è sempre più difficile trovare momenti per me stesso, e adesso mi ritrovo a essere io a vomitare il mondo fuori per la voglia di stare da solo.
Sicché ho seguito la mia natura anche con la fede. So che a molti potrà sembrare strano, poiché l’allontanamento da Dio può essere un percorso difficile, talvolta doloroso, ma per me non lo è stato affatto. Per dirla con Emil Cioran: «Ho tolto di mezzo Dio per bisogno di raccoglimento, mi sono sbarazzato di un ultimo seccatore».
Anche il mio lavoro rispecchia la mia indole. Infatti mi sono chiuso tutto il giorno nel laboratorio di microbiologia di un ospedale a guardare microrganismi con il microscopio. A questo punto vi starete forse chiedendo: «Ok, sei un orso. Ma allora perché sei qui a raccontarti?». La risposta è: «Per quello che vedo dalla finestra del laboratorio».
Una chiesa.
Un edificio, in mezzo ai viali di un ospedale pediatrico, in rappresentanza di un Dio completamente indifferente alle decine di piccole esistenze che passano davanti alla mia finestra, intubate e paralizzate, su una carrozzina spinta da genitori con occhi spenti, tristi, rassegnati, che neanche dovrebbero esistere se quell’edificio rappresentasse qualcosa di vero. Invece sta lì, pronta con le sue esche fatte di false consolazioni ultraterrene e di miracolose speranze. Forse è vero che quando si sta male accettiamo qualsiasi cosa ci dia sollievo, ma la stessa cosa che usiamo come medicina di quanto dolore è a sua volta responsabile? Come mai i credenti, quando stanno male, vanno in ospedale invece che in chiesa? «Perché Dio agisce in modi misteriosi, no?», mi dice chi crede. Ma se le preghiere funzionassero io sarei disoccupato. «Ma allora non capisci? Anche tu e il tuo lavoro rientrate nel progetto di Dio!», mi rispondono. Ok, credi un po al cazzo che ti pare, ma magari, dato che lui è già onnipotente, il tuo 8×1000 dallo alla ricerca, che invece non lo è.
L’umanità, come specie, preferisce non sentirsi sola piuttosto che unica responsabile dei propri successi e fallimenti. Barattiamo la razionalità con l’illusione e il prezzo che paghiamo è molto alto. Non ho la presunzione di pensare che potrei credere anch’io allo stesso modo se mi trovassi al posto di quelle persone. So di essere un privilegiato per tanti aspetti: maschio, bianco, etero, in salute, nato nel posto giusto e al momento giusto, con un buon lavoro e la pancia sempre piena. In pratica ho vinto alla lotteria della vita, sicché per me è facile accettare la mia condizione. Tuttavia non sono diventato ateo perché ho avuto una vita facile. Sono diventato ateo per ciò che trovo impossibile fare quando guardo fuori dalla mia finestra: avere fede.
rust
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