electhulhu racconta la propria Storia per «Io senza Dio».
Quando si cresce come me in un ambiente comunitario (nel mio caso Comunione e Liberazione), ci si identifica con quel sistema. Ho fatto Scuola materna, Elementari e Medie private, in scuole di CL, e arrivata al Liceo ho immediatamente cercato la comunità. Crescere con un gergo particolare, quel gergo che mi permette ancora di capire se un mio interlocutore è di CL, sentendosi ripetere che gli «amici veri» potevano essere trovati solo nella comunità perché lì era il posto in cui si aveva in comune la reale essenza di sé, perché «Io sono tu che mi fai», perché «Cristo è tutto in tutti», rende impossibile rapportarsi in modo emotivamente maturo con le persone. Certo è un sistema che ha i suoi vantaggi – per esempio dà una granitica sicurezza in sé stessi e negli altri appartenenti al gruppo –, ma rimanere nella propria rassicurante comfort zone non è sempre possibile.
Personalmente non mi sono mai sentita davvero integrata: ascoltavo Guccini e i Doors, leggevo biografie su Jim Morrison e rifiutavo la propaganda politica, studiando e apprezzando le grandi personalità della Sinistra che hanno pagato con la vita le lotte per i diritti civili. Soprattutto perché, sebbene non avessi dubbi circa la mia fede, non avevo la «fede lieta» che traspariva dallo sguardo sereno dei miei compagni o dei membri del gruppo adulto. Ma fino a un certo momento il problema non potevo che essere io: non era la fede in generale che non stava in piedi, ma la mia fede che era immatura, al di sotto del livello raggiunto dagli altri.
Poi ho sbattuto contro il muro della teodicea. Non la teodicea «teorica», ma la reale sofferenza dei malati in ospedale. Allora ha cominciato a crollare tutto, però piano, molto piano…
Ho cercato in tutti i modi di riavvicinarmi alla fede, di trovare motivazioni convincenti o, molto semplicemente, come si suggeriva sempre in CL, di fidarmi, stando davvero all’interno dell’esperienza di fede con la preghiera, la partecipazione alle liturgie, in attesa che lo Spirito mi parlasse. Ma ovviamente non accadeva nulla.
L’unica argomentazione che ancora reggesse in quel periodo della mia vita era riassumibile in una citazione che recitava più o meno così: «Ho conosciuto persone nei cui occhi la certezza di Dio era così palese da non permettermi di dubitarne». Anche ora la maggior parte dei miei amici e familiari si rispecchia perfettamente in questa categoria. Ma quest’argomentazione è priva di qualsiasi razionalità, quindi alla fine la scelta diventa un aut aut tra un rassicurante ma palese autoinganno e una verità che ti sbilancia nel tuo cammino ma ti permette di essere vero.
Il cammino per la completa emancipazione è lunghissimo – ho tirato la mia prima bestemmia qualche mese fa, all’alba dei miei 40 anni, e ancora mi scopro a chiedermi come abbia fatto a non pormi certe domande molto prima – e non so se riuscirò a scrollarmi di dosso il retaggio cattolico. Però… però almeno adesso sono vera. Anche se devo confessare che talvolta invidio chi crede per la sicurezza che ha, per la serenità che ha, sentendosi cullato da un progetto più grande.
L’unico ambito in cui ancora percepisco un po’ di trascendenza è la musica sacra, che ho la fortuna di studiare da anni. Il mio maestro mi prende in giro perché canto Vivaldi ma ascolto in auto un gruppo metal tedesco. Ma, da quando ho preso consapevolezza del mio ateismo, posso usare più consapevolmente la citazione di Whitman:
Mi contraddico? Certo che mi contraddico. Sono vasto, contengo moltitudini.
– Walt Whitman
electhulhu
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…e allora evviva le contraddizioni, evviva le moltitudini… sane, vere, che fanno crescere…