Dio non è solo una risposta sbagliata: è una domanda inutile. E ciò che è inutile non merita il nostro tempo.
Vale la pena continuare a parlare di Dio? No, secondo Dario. Che ci spiega perché e rende inutili tutte le pippe mentali degli apologeti bigotti ma anche degli atei militanti.
Disclaimer: Choam Goldberg riceverà la risposta finale alla domanda cardine della sfida della teodicea alla fine di questo articolo nella sezione «Speciale» alla fine, ma prima si deve seguire tutto il ragionamento che condurrà a quella risposta.
Il dibattito sull’esistenza di Dio è tra i più abusati nella storia dell’umanità. Filosofi, teologi e credenti continuano a riempire pagine e a consumare fiato su una questione che, per come è posta, è già priva di significato. Il problema non è solo che Dio non esiste, ma che l’intero discorso sulla sua esistenza è un esercizio sterile.
L’incompatibilità tra il concetto di Dio e la logica
Le religioni dipingono Dio come imperscrutabile, atemporale, immateriale e non spaziale. Ma, se Dio è imperscrutabile, ogni tentativo di comprenderne le intenzioni è già fallito in partenza. Se è fuori dallo spazio e dal tempo, allora non ha alcun legame con la realtà osservabile.
Ed ecco il trucco: quando serve attribuirgli qualità positive (bontà, giustizia, amore), Dio diventa improvvisamente comprensibile. Però, quando si chiede loro conto di contraddizioni o problemi come la presenza del male, ecco che i credenti si rifugiano nel «mistero». O Dio è conoscibile o non lo è: voler giocare su entrambi i campi è pura malafede intellettuale.
Se Dio è imperscrutabile, non c’è nulla di cui discutere.
Se è perscrutabile, allora i credenti devono portare prove dirette delle sue intenzioni e volontà. E per dirette si intende senza libri, pergamene, tradizioni orali o scritti di uomini fallibili.
Dio, se è perscrutabile, deve comunicare direttamente, in modo verificabile e inequivocabile. Se non lo fa, allora o non esiste o non vuole essere trovato. In entrambi i casi dibatterne è inutile.
Curiosamente però questa insensatezza non è prerogativa solo dei credenti. Spesso anche gli atei cadono nella trappola: accettano la premessa dell’imperscrutabilità, ma poi si accaniscono nel voler confutare ogni minimo dettaglio delle dottrine religiose, come se si potesse applicare la logica a qualcosa che per definizione ne è escluso. Ma, se si parte dall’assunto che Dio è fuori dalla portata della comprensione umana, allora non ha senso nemmeno tentare di smontarlo con argomenti razionali.
Perché mai un ateo dovrebbe affannarsi a smentire ciò che, per sua stessa definizione, è indimostrabile (nelle conclusioni le risposte alle obiezioni su questa domanda)? Chi accetta questa premessa e continua a discutere sta solo giocando secondo regole che avvantaggiano il suo avversario.
Il problema ontologico: Dio è indistinguibile dal nulla
Se qualcosa è al di fuori dello spazio, del tempo e della nostra esperienza, allora è indistinguibile da qualcosa che non esiste. Non dubitiamo della gravità perché possiamo osservarne gli effetti. Non dubitiamo delle particelle subatomiche perché possiamo misurarle. Ma Dio?
Dio è descritto in modo da eludere ogni verifica. Un concetto che non ha effetti misurabili sulla realtà è indistinguibile da un concetto vuoto. Se Dio esiste e non ha mai interferito direttamente e inequivocabilmente con la realtà, allora la sua esistenza è priva di significato. Se invece ha interferito, allora dobbiamo avere prove concrete. Ma ogni presunta «prova» è sempre un gioco di interpretazioni, racconti, visioni soggettive e postulati indimostrabili.
Dimostrazioni logiche
1. Il problema dei supereroi
- I supereroi sono buoni.
- I supereroi hanno superpoteri.
- I supereroi non salvano tutte le vite ogni giorno, ma solo alcune.
- Sono davvero buoni, allora? Non possono salvarci o non vogliono?
La domanda è insensata perché i supereroi non esistono. Lo stesso vale per Dio: attribuirgli qualità e poi dibatterne è solo un gioco intellettuale privo di valore nel mondo reale.
2. Il colore invisibile «Preccert»
Supponiamo di affermare l’esistenza di un colore chiamato «Preccert», invisibile a occhio nudo e con qualsiasi strumento di misurazione.
- Il Preccert esiste perché io lo affermo?
- Oppure non esiste perché non può essere riscontrato?
- Se decidessimo di dipingere la Cappella Sistina con il Preccert, il risultato sarebbe grandioso o inesistente?
Un concetto non verificabile è indistinguibile da un concetto inesistente. Se Dio è al di fuori dello spazio, del tempo e della nostra comprensione, allora non è diverso dal Preccert: un’idea che non ha effetti tangibili sulla realtà e che quindi non merita di essere discussa.
3. Il paradosso di Harry Potter
Se io credessi nell’esistenza di Harry Potter, sarei autorizzato a dibattere delle questioni interne alla sua saga come se fossero reali?
- Perché la stazione dei treni dei maghi è stata collocata proprio a King’s Cross? Non sarebbe stata più discreta una città meno trafficata?
- Dovremmo forse tentare di contattare il Ministero della Magia per discutere la questione?
Queste domande hanno senso solo all’interno della finzione. Ma, se lo stesso schema vale per Dio, allora ogni dibattito su di lui non ha più valore di una discussione su Harry Potter.
4. Il paradosso del pazzo
Prendiamo uno schizofrenico incurabile, bloccato nella sua condizione senza via di scampo. Se gli spiegassimo che le sue allucinazioni visive sono false, potrebbe anche ascoltarci e persino comprenderci razionalmente. Ma continuerà comunque a vedere quelle figure. Nella migliore delle ipotesi vivrà nel sospetto della paranoia.
Con i credenti è persino peggio: loro scelgono consapevolmente di aderire a una posizione in cui nessuna prova contraria può scalfirli. Non c’è nulla di più radicale della fede cosciente. Ho visto persone negare un fallo a calcio, pur avendo davanti prove video inequivocabili, solo per non dare ragione all’avversario. E, se si può negare l’evidenza per un gioco, figurarsi per una convinzione che regge l’intera visione del mondo.
Obiezioni inutili già sgretolate in partenza
1. «Dio si manifesta tramite miracoli, sogni, profezie»
Se Dio interagisce con la realtà, allora deve essere osservabile e testabile. Ma non esiste alcuna prova scientificamente verificabile di eventi divini. Tutti i presunti miracoli avvengono in contesti soggettivi o ambigui.
Se Dio volesse farsi conoscere, perché affidarsi a sogni, racconti e interpretazioni personali invece di usare un metodo chiaro e inequivocabile?
2. «Dio ha creato l’universo, quindi ha già interferito»
Dire che Dio ha creato l’universo non risolve nulla: si limita a spostare il problema. Se Dio può esistere senza una causa, perché l’universo non potrebbe fare lo stesso?
Inoltre, se Dio ha creato l’universo e poi ha smesso di interagire, allora è indistinguibile da un’entità inesistente. Se invece continua a interagire, allora dovremmo avere prove inconfutabili di queste interazioni e in ogni caso bisognerebbe risolvere il problema della imperscrutabilità per dibattere su queste interferenze.
3. «Dio non è completamente imperscrutabile: possiamo conoscerlo con la fede»
La fede non è un metodo di conoscenza: se lo fosse, allora ogni religione e setta mistica dovrebbe essere considerata ugualmente valida, perché tutte rivendicano esperienze interiori. Inoltre la teologia è autoreferenziale: parte da assunti arbitrari e costruisce argomentazioni interne per giustificarli, senza mai confrontarsi con la realtà. Se accettiamo la fede come prova, allora dobbiamo accettare anche il politeismo, lo sciamanesimo e qualsiasi altra credenza.
4. «L’universo mostra segni di progetto»
L’apparente ordine dell’universo è spiegabile con le leggi fisiche e i processi naturali. Se l’universo fosse progettato per noi, perché il 99,999999% dello spazio è inabitabile? Perché la maggior parte della Terra stessa è ostile alla vita? Se c’è un disegno, è quello di un architetto incompetente.
5. «L’esperienza personale di Dio è una prova»
Se accettiamo le esperienze soggettive come prove, allora dobbiamo accettare anche chi dice di aver visto alieni o spiriti o di avere poteri paranormali. Inoltre le esperienze religiose sono condizionate dalla cultura: un cristiano sente Gesù, un musulmano sente Allah, un indù sente Krishna. Se Dio è uno solo, perché le esperienze non convergono su una singola divinità?
Conclusione: l’irrilevantismo nichilista
Alcuni atei giustificano il dibattito su Dio dicendo che le religioni sono dannose e che vanno contrastate. Ma la questione sociale delle religioni non ha nulla a che vedere con la speculazione filosofica su Dio. Se i credenti vogliono limitare diritti o imporre leggi basate sulla loro fede, la risposta non è una discussione teologica infinita, ma azioni politiche nelle sedi adeguate.
Il punto qui non è il danno sociale della religione, ma l’inutilità logica del dibattito sull’esistenza di Dio. Se Dio è imperscrutabile, discutere è inutile. Se è perscrutabile, servono prove verificabili. E, se un ateo accetta la premessa dell’imperscrutabilità, deve avere il buon senso di smettere di discutere.
Dio non è solo una risposta sbagliata: è una domanda inutile. E ciò che è inutile non merita il nostro tempo.
Speciale: Il problema del dolore innocente e l’imperscrutabilità di Dio
Una delle domande più devastanti e senza risposta della teologia è: se Dio è buono, perché permette che dei bambini innocenti soffrano atrocemente? Se Dio è onnipotente, potrebbe impedirlo. Se è misericordioso, dovrebbe impedirlo. Se non lo fa, significa che o non può o non vuole.
Se accettiamo l’imperscrutabilità, qualsiasi risposta è valida.
Se Dio è imperscrutabile, allora nessuna spiegazione è più valida di un’altra. Possiamo quindi formulare qualsiasi ipotesi, anche assurda, per giustificare il problema del dolore innocente, senza che nessuna sia confutabile. Ecco alcuni esempi:
- Ipotesi della simulazione cosmica
Dio è un’intelligenza superiore che sta testando diverse configurazioni di realtà simulata per ottimizzare l’universo definitivo. La sofferenza dei bambini è solo un bug di questa simulazione, un errore di codice che Dio non ha ancora deciso di correggere, oppure sta osservando le nostre reazioni per valutare se meritano una patch. - Ipotesi della materia oscura morale
Esiste una legge cosmica, invisibile e inconoscibile, che lega la sofferenza innocente alla stabilità dell’universo. Ogni bambino che soffre sta, senza saperlo, mantenendo l’equilibrio di galassie lontane o impedendo l’annichilazione della realtà stessa. Noi non possiamo comprendere questo meccanismo, ma Dio sì, e quindi permette il dolore come necessità fisica superiore. - Ipotesi dell’alimentazione spirituale
Gli esseri umani sono inconsapevoli di essere generatori di un’energia spirituale che Dio raccoglie per sostenere la propria esistenza. La sofferenza dei bambini produce una qualità energetica più pura e intensa, necessaria per il funzionamento della dimensione divina. È un sacrificio al di là della nostra comprensione, ma Dio lo permette per mantenere l’equilibrio della sua natura innaturale.
Queste teorie sono volutamente assurde – e sarei potuto andare avanti per anni a produrne altre –, ma hanno lo stesso valore di qualsiasi altra giustificazione religiosa basata sull’imperscrutabilità.
Se si accetta che Dio è imperscrutabile, allora tutte le risposte sono ugualmente valide e ugualmente inutili.
Se non si accetta l’imperscrutabilità, Dio deve rispondere.
Se invece i credenti rifiutano l’idea di un Dio imperscrutabile e vogliono continuare il dibattito, allora Dio deve mostrarsi e dichiarare esplicitamente le sue intenzioni. Non è più sufficiente appellarsi a testi antichi o all’interpretazione umana della sua volontà. Se Dio è buono, onnipotente e giusto, deve spiegare perché permette il dolore innocente con la stessa chiarezza con cui un uomo giusto giustificherebbe le proprie azioni.
Il problema del dolore innocente non può essere spiegato con giochi di parole o con la fuga nel mistero. Se Dio è morale come lo intendiamo noi, allora la sua giustificazione deve essere comprensibile e verificabile. Se non lo è, allora non stiamo parlando di un Dio buono, ma di un concetto indefinito e inafferrabile, indistinguibile dal nulla.
In tal caso, ancora una volta, discutere della sua esistenza diventa tempo sprecato.
Dario
Avvertenza:
La lingua di questo articolo cerca di conciliare l’inclusività con la leggibilità e la scorrevolezza. Nessuno si offenda quindi se evita le ripetizioni e usa il plurale sovraesteso. Ché mi spiace, ma la schwa anche no.
Qui sotto trovi la possibilità di commentare quest’articolo. Per farlo, devi
1. confermare che sei ateo/a,
2. essere consapevole che, se menti, stai commettendo il gravissimo peccato di apostasia,
3. aspettare che il commento sia approvato dall’admin.
L’approvazione dei commenti dipende dall’insindacabile e inappellabile giudizio dell’admin. Se vuoi saperne di più a proposito dei commenti, puoi consultare le FAQ.
Inoltre puoi commentare gli articoli e i post nel Gruppo Facebook de L’Eterno Assente, se ti iscrivi al Gruppo dopo aver risposto a una semplice domanda.
Potrebbero interessarti anche gli articoli di questi Percorsi:
Potrebbero interessarti anche i video di questi Percorsi:
Ti ringrazio per questo interessante spunto, molto ben argomentato. Mi sembra molto utile per far riflettere persone dalla mentalità scientifica, ancora irrazionalmente legate a un generico concetto di dio (come anch’io sono stato in passato). Forse purtroppo è vero che la cosa su cui bisogna maggiormente concentrarsi è l’azione politica nelle sedi appropriate, anche se la vedo durissima. Ciao, Max.
Il cristianesimo è religione rivelata: non esiste discorso sul dio cristiano che prescinda dalla rivelazione e, quindi, dalla manifestazione religiosa conseguente. Se si vuole affrontare la religione cristiana, la premessa non è l’imperscrutabilità o meno di dio ma la rivelazione: dio è conoscibile quanto, quando e come lo desidera. o parto da qui o non sto discutendo del dio cristiano.
Perché, ad es, il cattolico è convinto che l opinione della chiesa sia diversa dalle altre (in cui comunque c è del vero, “raggi dello stesso sole”)? Perché ci sono rivelazione e ss. Chiaro che quest’ opinione può essere giudicata priva di fondamento ma è questo il dio cristiano, non quello descritto nell’ articolo.
Passando al concerto di dimostrabilità, fin dagli albori del cristianesimo, la prova di dio la ha solo chi ne fa esprienza (expertus potest credere), o nella sua vita, nel suo cambiamento interiore o negli altri che credono (già citai “ho conosciuto persone nei cui occhi la presenza di dio era tanto evidente da non poterne dubitare”); per il cristiano la dimostrazione di dio è esperienziale, cioè la corrispondenza tra proprio sentire ed esistenza di un dio che entra in rapporto con singolo e comunità.
ultimo punto: la religione non è l unico caso in cui l’analisi di “qualcosa” parte dagli effetti che provoca. l amore, per dirne uno: non puoi conoscerlo in astratto a meno che tu non ne faccia esperienza, non è logico, non è confrontabile con quello altrui, determina cambiamenti nella tua vita e provoca una serie di reazioni misurabili.
Eppure mediamente riteniamo che l amore esista ed in letteratura o filosofia o neuroscienze lo indaghiamo.
lo stesso discorso si può fare sulla rabbia.
ne emerge un dio “stato emotivo”? certo. ma uno stato emotivo molto forte, determinante riflessi importanti sulla vita della persona e della società.
Ciao Elena, grazie per il tuo commento.
Il problema della tua argomentazione è che si basa su un presupposto autoreferenziale: il cristianesimo è una religione rivelata e quindi, secondo te, il discorso su Dio deve partire dalla rivelazione. Ma chi stabilisce che questa rivelazione sia autentica? La rivelazione stessa. È un ragionamento circolare: Dio si rivela, quindi esiste. Ma per accettare la rivelazione come vera, bisognerebbe già credere nella sua esistenza. E il problema è proprio questo: la rivelazione cristiana non è una comunicazione diretta tra Dio e l’umanità, è sempre stata filtrata attraverso scritture, tradizioni e interpretazioni umane—tutte fallibili, soggette a manipolazioni e contraddizioni. Se Dio volesse davvero farsi conoscere, lo farebbe in modo chiaro e inequivocabile, senza bisogno di intermediari, testi antichi o autorità religiose che ne interpretano arbitrariamente il significato. Se la conoscenza di Dio dipende da fonti umane, allora non si può escludere che sia semplicemente un prodotto umano.
Tu dici che il discorso su Dio non dovrebbe partire dall’imperscrutabilità, ma la teologia cristiana ha sempre usato questo concetto come rifugio quando le cose si complicano. Se si chiede perché Dio permetta la sofferenza degli innocenti, la risposta è che la sua volontà è imperscrutabile. Se si chiede perché Dio si sia rivelato in modo ambiguo e frammentato, si dice che lo ha fatto nei modi e nei tempi che ha voluto. Se si chiede perché Dio non si manifesti oggi chiaramente a tutti, ci si rifugia ancora nell’idea che non spetta a noi comprenderlo. Ma allora perché Dio è “conoscibile” quando serve a giustificare la fede e diventa imperscrutabile quando emergono problemi logici? O Dio si può comprendere e allora bisogna dimostrarlo con prove dirette e verificabili, o è imperscrutabile e allora nessuno può pretendere di conoscerlo. Non si può avere entrambe le cose: o Dio è accessibile e quindi è soggetto a critica e verifica, oppure è imperscrutabile e allora non ha senso discuterne.
E questa imperscrutabilità non è solo una strategia retorica, è sancita nella Bibbia stessa. Isaia 55:8-9 dice chiaramente: «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie, oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri». Se Dio stesso afferma che la sua logica è inconcepibile per gli uomini, allora con quale presunzione si pretende di conoscerlo o interpretarlo? Lo stesso concetto si trova in Giobbe 11:7: «Puoi scandagliare le profondità di Dio, arrivare a conoscere perfettamente l’Onnipotente?» e in Romani 11:33: «Oh, profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!» Anche il Nuovo Testamento ribadisce l’inaccessibilità della comprensione divina, come in 1 Corinzi 2:11: «Chi mai tra gli uomini conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio.»
Quindi la Bibbia stessa conferma che Dio è imperscrutabile e che l’uomo non può comprenderlo. Se questo è vero, allora nessuna religione può affermare di conoscere Dio più delle altre. Se invece Dio è conoscibile, allora bisogna dimostrarlo con fatti concreti, non con testi scritti da uomini o esperienze personali soggettive.
A proposito di esperienze personali, dici che la prova dell’esistenza di Dio è esperienziale, che chi ne fa esperienza ne ha la prova. Ma questa è una fallacia soggettiva. Se l’esperienza personale fosse una prova, dovremmo accettare tutte le divinità e le credenze di ogni religione, perché in ogni cultura ci sono persone che affermano di aver avuto esperienze con dèi diversi. Dovremmo accettare anche le esperienze di chi dice di aver visto gli alieni, gli spiriti, le reincarnazioni o le visioni mistiche. Dovremmo credere ai fedeli dell’induismo che affermano di aver percepito Vishnu, agli sciamani che parlano con gli antenati o ai mistici che dichiarano di aver avuto rivelazioni personali. Ma se tutte queste esperienze non dimostrano la verità delle rispettive credenze, allora nemmeno l’esperienza personale di un cristiano dimostra il suo Dio. Se Dio esistesse e volesse farsi conoscere, non dovrebbe dipendere dalla soggettività di chi lo percepisce, ma sarebbe un fatto oggettivo, verificabile da chiunque e in ogni epoca.
Infine, confrontare Dio con l’amore o la rabbia è un’analogia che non regge. L’amore è un’emozione reale, con basi biologiche e neurochimiche. Dio, al contrario, non ha alcun effetto tangibile sulla realtà che non possa essere spiegato senza di lui. Dici che Dio cambia la vita delle persone e quindi ha un impatto reale. Ma allora dovremmo accettare anche Zeus, Krishna e qualsiasi altro dio della storia, perché anche loro hanno avuto impatti profondi sulla vita dei credenti. Il cambiamento psicologico di un individuo non dimostra l’esistenza dell’entità in cui crede. Se Dio è solo un “sentire interiore”, allora è indistinguibile da una costruzione mentale. E un Dio indistinguibile da un concetto soggettivo non è più un Dio, ma un fenomeno psicologico.
In sintesi, la rivelazione cristiana non è una manifestazione diretta di Dio, ma un processo umano, fallibile e storico. Se Dio è imperscrutabile quando serve a difendere la fede, allora nessuno può pretendere di conoscerlo. Se l’imperscrutabilità viene invocata solo quando emergono problemi logici, allora è solo uno scudo retorico, non un argomento valido. Se Dio fosse reale e volesse farsi conoscere, non ci sarebbe bisogno di scritture, chiese o interpretazioni teologiche. Sarebbe un fatto oggettivo, evidente per tutti, al di là delle culture e delle epoche. Ma tutto questo non accade
Mah… certo che per essere così sicuri che sia inutile discutere, scrivete e discutete parecchio. Ognuno di voi commentatori dovrebbe cantare (parafrasando Petrolini): “Mi dispiace di discutere, ma son contento!”
Ciao Agostino,
grazie per il tuo commento.
Ti consiglio di fare attenzione alla mia tesi: discutere dell’esistenza e soprattutto dei comportamenti (o delle aspettative) di un ipotetico Dio se si accetta come premessa l’imperscrutabilità , non ha senso per i motivi che ho spiegato. Qui invece le persone stanno rispondendo alle mie affermazioni e non stanno dibattendo sulla logica divina in senso positivo o negativo.
Saluti e viva Petrolini
Post molto bello ed interessante, bravo!
Dal mio punto di vista, sono nato e cresciuto ateo, non serve parlare di dio; non ha senso dio!
Il problema sta nei credenti che interagendo con il mondo, quello stesso mondo dove interagisco anche io, vogliono plasmarlo secondo la loro credenza, con ciò volendo plasmare anche me nello stesso modo.
Hai ragione non si può fare nulla per evitare questa intromissione, non serve discutere con loro delle loro false credenze. Lo sanno anche loro che sono false ma ci credono lo stesso per paura, convenienza, abitudine.
I peggiori sono quelli che lo fanno per convenienza, per il potere economico e politico.
Quelli non si possono ravvedere ne possono permettere ad altri di farlo.
Chi ambisce il potere: ricchi, preti e politici perseguiterà sempre gli atei.
Sarà sempre un religioso oltranzista, brucerà eretici, streghe e chiunque gli faccia comodo e gioco, secondo il momento storico.
Il mondo non è laico, ne potrà mai esserlo, purtroppo.
Io non cerco di smontare le credenze di qualcuno, non funziona.
Parlo di e ascolto volentieri discorsi su dio e religione solo con atei, con gente che non devo convincere di niente. Solo un apologeta può cercare di convincere altri di qualcosa.
Sono però incazzato, che in pratica non mi è stato possibile evitare l’ora di religione ai miei tre figli, con il primo ho lottato per l’alternativa ma con terzo, esausto, non ho nemmeno chiesto l’esonero.
Sono incazzato quando entro in una chiesa per guardare le bellissime opere che vi sono custodite e mi dicono di uscire perché in quel momento c’è la funzione.
Sono incazzato perché una merda, come definirlo altrimenti, riesce ad entrare in ospedale fuori dagli orari di visita, in cui ci sono io, e mette dei santini sul comodino del mio genitore morente.
Chissà se il mio caro, parlando con questa merda indecente ha saputo o ha capito prima di morire che stava morendo invece che guarendo?
Sono incazzato di dover vedere croci dovunque, di dover sentire parlare di croci dappertutto.
Sono incazzato che dopo morti son tutti buoni, anche la merda che si è presentato al capezzale del mio caro, e che pretendono tutti di andare in paradiso, che non esiste, siamo d’accordo, ma che pretendo di avere come premio per una vita buttata alle ortiche, non vissuta, o vissuta male creando problemi e sofferenza agli altri, credenti o meno che fossero.
Sono incazzato perché mi rompono i coglioni!
Lo so che dio non c’è, ma ci sono i cretini e riempiono il mondo.
Buonasera Giancarlo,
capisco la tua incazzatura e sei liberissimo di essere incazzato e di esprimere questo sentimento nei limiti consentiti dalla legge (non di origine divina ma del diritto chiaramente!). La mia critica è puramente filosofica e pratica solo se vogliamo attriburle la causalità formale di un possibile dibattito abortito; infatti io la penso come te. Quello che secondo me ha poco senso è mettere un credente ed un ateo a discutere se Dio esista o meno “e perchè fa così e perchè non fa cosà” e “l’ateo dice che è cattivo o indifferenze e il credente dice che è buono però siamo peccatori” eccetera eccetera…se si accetta da entrambe le parti nell’ambito del dibattito il fumoso concetto di “imperscrutabilità” , come ho cercato di dimostrare nei miei esempi non ha alcun senso per il credente affermareche Dio fa certe cose perchè è giusto (più tutti i derivati delle religioni) come non ha senso dire che se non ha certi comportamenti o non compie determinate azioni allora è cattivo/indifferente/non esistente. Se invece non si accetta la sua condizione incomprensibile, il discorso cambia parecchio, perchè Dio deve in prima persona spiegare che cosa vuole, come la pensa, come intende agire e cosa si aspetta da noi. Senza intermediari, libri, santi, madonne, profeti.
Un caro saluto,
Dario
Lettura interessante e ricca di riflessioni. Aggiungo giusto poche osservazioni un po’ disordinate.
Dario mette in luce, ancora una volta, il comportamento disonesto degli apologeti che cambiano la natura di Dio a seconda della convenienza.
Riguardo il rapporto tra fede, rivelazione e ineffabilità, mi viene in mente la classica furbata: “beati quelli che pur non avendo visto crederanno” (Gv 20, 29).
Mi trovo poco d’accordo per quanto riguarda le azioni di contrasto all’intromissione delle religioni nella vita politica e sociale. In quei casi, discutere di Dio è utile per resistere agli argomenti apologetici.
Mi sembra che gli esempi riportati per giustificare la teodicea data l’imperscrutabilità contraddicano le proprietà consuete di Dio.
Il dio simulatore della 1 non è onnisciente, commette errori, anzi apprende dagli errori.
La materia oscura morale o sarebbe stata creata da Dio o gli sarebbe superiore, non consentendo a questo Dio di essere onnisciente o onnipotente.
Il Dio che si nutre di energia spirituale è subordinato alle azioni umane. Inoltre, di cosa si nutriva prima di creare gli uomini?
Invece, una via d’uscita potrebbe essere l’imperscrutabilità della contraddizione logica che si creerebbe se non esistesse il dolore innocente. Questa ipotesi è simile a quella della materia oscura morale, sostituendo il legame fisico con quello logico. In altre parole, se neanche un bambino sofrisse senza motivo, ne seguirebbe che 1=2 (o qualsiasi altra contraddizione), ma tale implicazione è imperscrutabile (solo Dio la conosce).
Mi piace molto l’affermazione ontologica: “Dio è indistinguibile dal nulla”.
Ciao, grazie per il tuo commento.
Il punto centrale è che gli apologeti giocano sempre sul doppio registro: quando Dio fa qualcosa di buono, diventa perfettamente comprensibile, quando invece gli si fa notare qualcosa di assurdo o crudele, diventa improvvisamente imperscrutabile. Non si può avere entrambe le cose. O è un’entità chiara e intellegibile, con cui possiamo ragionare e trarre delle conseguenze logiche, oppure è completamente insondabile e allora ogni discorso diventa inutile, inclusi quelli dei credenti.
Sul contrasto alle religioni nella politica e nella società, io non dico che non si debba dibattere con gli apologeti quando cercano di giustificare leggi o imposizioni sulla base della fede. Il punto è che non serve a niente discutere di Dio in sé. Se un politico vuole vietare l’aborto perché “Dio non vuole”, la risposta non è mettersi a discutere su Dio, ma ricordare che lo Stato è laico e che la legge si basa sui diritti, non sulla teologia. E se insistono, si risponde con un bel “non me ne frega niente di cosa dice il tuo Dio”. Fine. Non serve sfiancarsi a smontare le loro assurdità punto per punto, perché chi è convinto non si farà convincere.
Riguardo le ipotesi della sezione speciale, hai ragione nel dire che ciascuna di esse rompe una delle proprietà classiche di Dio, ma è proprio quello il punto. Se accettiamo il concetto di imperscrutabilità assoluta, allora qualsiasi ipotesi ha lo stesso valore di qualsiasi altra, anche le più assurde. Se Dio è davvero imperscrutabile, allora non possiamo dire che non sia un’entità che fa esperimenti casuali per noia, o che non abbia creato una regola incomprensibile per cui il dolore innocente è necessario per mantenere in piedi la logica dell’universo. L’imperscrutabilità rende ogni congettura valida, quindi ogni tentativo di spiegare il dolore dei bambini cade nel vuoto.
Aggiungo un altro punto su cui vale la pena riflettere: se Dio è imperscrutabile al punto da rendere incomprensibili le sue azioni, allora anche concetti come “buono”, “giusto”, “utile”, “logico” o “illogico” non hanno più alcun senso riferiti a lui. Se Dio è così lontano da noi da non poter essere capito, allora il fatto che sia onnipotente, giusto o misericordioso diventa irrilevante, perché non possiamo misurarlo con nessuna categoria umana. A quel punto, come facciamo a sapere che non è solo un’entità annoiata che crea mondi a caso senza badare alle conseguenze? O che non risolverà tutto tra un miliardo di anni, ma nel frattempo gli va bene così? Sono ipotesi assurde, certo, ma hanno la stessa dignità di qualsiasi altra teoria, se si accetta l’idea che Dio è completamente al di là della nostra comprensione.
Ti faccio un esempio per rendere la cosa più chiara: immagina che io e te ci trovassimo a guardare lo spartito di uno strumento di cui non sappiamo nulla, senza avere il minimo concetto di teoria musicale. Uno potrebbe dire: “Guarda che bello, così ordinato, sicuramente è opera di un genio!” e l’altro: “Non si capisce niente, avrebbero potuto usare le lettere, chi ha scritto questa roba era un idiota!”. Ha senso questa discussione? No, perché nessuno dei due ha la minima base per giudicare quello che sta guardando. Se Dio è imperscrutabile, qualsiasi giudizio su di lui – positivo o negativo – è totalmente inutile.
Ecco perché dibattere su Dio è una perdita di tempo: se si accetta che sia comprensibile, allora bisogna fornire prove concrete della sua esistenza e delle sue intenzioni. Se invece è incomprensibile, allora ogni discorso si azzera, perché nessuno può dire nulla di sensato su di lui.
La prima delle ipotesi nello speciale sul dolore è simile alla storia del gatto morto in VALIS, di Philip K. Dick. Per gli atei che non avessero letto la trilogia di VALIS: dovete leggerla, è obbligatorio. Nessuno sapeva creare mondi come Philip K. Dick, per cui probabilmente lui era dio.
Ciao grazie per il consiglio, non ero a conoscenza dell’analogia ma appena finisco la saga di “Rama” ci faccio un pensierino.
Dario
Arthur C. Clarke è indubbiamente un grande scrittore di fantascienza, ma con Philip K. Dick ti divertirai un mondo. Senza farti spoiler: tutta la trilogia di VALIS è nata da un’ esperienza pseudomistica dell’ autore ed è basata su questo assunto: Gesù ha detto che sarebbe tornato entro la fine della sua generazione, ma non è tornato. Quindi, non potendo Gesù essere un bugiardo, siamo ancora nel 30 d.c. e stiamo vivendo un’ illusione. Il tutto condito dalle (false) leggende Dogon, gli alieni, un bambino che è dio, pianeti colonizzati, dissociazioni psicotiche curate con i fiori di Bach e via così…
Ho apprezzato questo scritto, ma non mi trovo completamente d’accordo con il punto di vista di Dario.
Concordo sul fatto che sia inutile cercare di convincere un credente che la sua fede è illogica. Anzi penso che il credente abbia tutto il diritto di illudersi come gli pare. Beninteso, fintanto che non viene a casa mia a pontificare su cosa faccio con i miei genitali.
Esistono però persone il la cui fede è vacillante, e che hanno bisogno di punti di vista diversi da quelli dei bigotti. Per questa gente la discussione è uno strumento di emancipazione. Poi, una volta libere, queste persone si trovano a dover difendere la propria posizione in una società dove, piaccia o meno, ti vengono a rompere le balle. Avere delle munizioni pronte all’uso può essere decisivo per uno sfanculamento deciso ed efficace.
La questione sociale delle religioni non avrà nulla a che vedere con la speculazione filosofica sull’esistenza di dio (si, scrivo “dio” in minuscolo, perché è un’idea che non merita alcun rispetto). Tuttavia, ogni volta che consenti ad un “vacillante” di liberarsi dall’indottrinamento, gli dai la capacità di pensare con la propria testa, di liberarsi della reverenza verso la pretaglia, ed in ultima istanza vai a migliorare indirettamente le famose “azioni politiche nelle sedi adeguate”.
Infine c’è il fattore comunitario. Un ateo la fuori può sentirsi come un pesce fuor d’acqua, ma quant’è bello poter trovare gente che ti fa fare due risate, e magari con poter cacciare un bestemmione in compagnia?
Ciao!
Apprezzo il tuo commento e riconosco il valore dell’argomentazione, ma c’è un punto chiave su cui la nostra visione differisce.
Non ho mai detto che discutere di dio sia inutile in assoluto, ma che discutere sulle basi fornite dai credenti è una trappola dialettica. La differenza è sottile ma sostanziale. Se entri nel ring accettando le loro premesse – ovvero che la questione di dio sia trattabile razionalmente – stai già giocando con il mazzo truccato. Il punto del mio articolo è che non c’è nulla da dimostrare, perché il concetto di dio, così come viene presentato nelle religioni, è strutturalmente non verificabile. È come chiedersi se gli elfi vivano in Islanda: possiamo discutere all’infinito della geografia di Álfheimr, ma il problema è a monte.
Sulla questione della “liberazione del vacillante”, sono d’accordo che esistano persone che hanno bisogno di una scossa per emanciparsi dall’indottrinamento. Ma questo non avviene attraverso dibattiti metafisici su dio, bensì con un lavoro di demolizione della religione come struttura di potere e controllo sociale. La religione non si perpetua grazie a sofisticati argomenti filosofici, ma grazie alla coercizione culturale, alla pressione sociale e all’infiltrazione nelle istituzioni. Un cattolico medio non è tale perché ha letto Tommaso d’Aquino e l’ha trovato convincente, ma perché è stato indottrinato sin da bambino. La battaglia si vince nelle scuole, nelle leggi, nella mentalità collettiva, non in un confronto dialettico che parte da basi già compromesse.
Infine, il fattore comunitario. Su questo non ho nulla da obiettare. Ridere in compagnia e lanciare qualche bestemmione liberatorio è un valore in sé, soprattutto in un mondo dove ci vogliono costantemente far sentire in colpa per non piegarci.
Ci sono due punti sui quali non sono d’accordo.
Innanzitutto, sembra che l’autore dell’articolo consideri il dio “filosofico” e il dio dei monoteismi come una cosa sola, ma non è proprio così. Il dio filosofico è formulato in modo da essere indimostrabile e imperscrutabile, quello abramitico no.
In secondo luogo, ho l’impressione che sottovaluti l’importanza di quei concetti astratti che esistono solo all’interno di un sistema di comunicazione. Non è che se qualcosa non esiste in modo misurabile, allora non ha effetto sulla realtà: prendiamo ad esempio i confini degli stati, o le società per azioni.
Perciò mi trovo in disaccordo quando dice “Se i credenti vogliono limitare diritti o imporre leggi (…), la risposta non è una discussione teologica infinita, ma azioni politiche nelle sedi adeguate”. Perché, una volta arrivato nelle sedi adeguate, un eventuale politico si troverebbe a dover contrastare proprio quelle argomentazioni derivanti dalla speculazione filosofica e teologica.
Ciao Benny, grazie del tuo punto di vista.
Non credo di confondere il “dio filosofico” con il dio dei monoteismi, ma è la stessa apologetica a mescolarli per convenienza. Il Dio abramitico è un ibrido tra due nature incompatibili: da un lato, è una divinità personale che interagisce con il mondo, ha desideri, comandi e giudizi morali. Dall’altro, quando le sue azioni sono messe in discussione, diventa un’entità imperscrutabile, onnipotente e oltre la comprensione umana. Questo doppio standard è il trucco retorico con cui i credenti si muovono nel dibattito: se critichi il Dio biblico per la sua crudeltà, ti diranno che è imperscrutabile; se chiedi perché non si manifesta chiaramente, allora torneranno a parlare del Dio che si rivela nelle scritture e nella storia. Questo gioco di prestigio permette di fuggire da ogni critica senza mai dover sostenere una posizione coerente.
Io ritengo che il Dio abramitico non sia molto diverso dal Dio filosofico. Inizialmente è presentato con tratti umani: si arrabbia, è geloso, si pente, prova amore e vendetta. Tuttavia, nel passaggio dalla narrazione mitologica alla teologia, questa figura si trasforma gradualmente in un concetto astratto e insondabile, perché un Dio imperscrutabile è molto più difficile da attaccare logicamente. Non esisterebbero altrimenti il concetto di tanzih nell’Islam o il mistero della fede nel Cristianesimo: il dogma si protegge attraverso l’incomprensibilità.
Ma “facciamo finta che”, come direbbe quel simpaticone di Biglino, Dio esista e il divario tra noi e lui sia come quello tra una formica e un essere umano: una formica non può concepire il motivo per cui un uomo costruisce un centro commerciale, ma può comunque vederne gli effetti. Se Dio esiste, dovremmo quantomeno osservare il suo impatto diretto sulla realtà in modo inequivocabile, anche se non ne comprendiamo le ragioni. Se un gruppo di formiche vedesse improvvisamente le proprie foreste rase al suolo da ruspe e macchinari incomprensibili per la loro percezione, non avrebbero idea del perché, ma non potrebbero negare il fatto stesso che la distruzione stia avvenendo.
Se Dio avesse creato l’universo e intervenisse attivamente, dovremmo assistere a fenomeni con lo stesso livello di innegabilità. Se, ad esempio, una mano gigante scendesse dal cielo e rimettesse in piedi le chiese distrutte dai terremoti, senza bisogno di preghiere o interventi umani, nessuno potrebbe negare l’evento, pur senza comprenderne il senso. Ma ciò non avviene. Tutti gli eventi attribuiti a Dio sono o soggettivi (esperienze personali, rivelazioni mistiche) o rientrano in dinamiche naturali già spiegabili con altre cause. L’imperscrutabilità non può essere una giustificazione per l’assenza di effetti rilevabili.
Per quanto riguarda il discorso sui concetti astratti che influenzano la realtà, esistono costruzioni simboliche con effetti tangibili (confini di stato, denaro, società per azioni), ma con una differenza chiave: sono strumenti creati dall’uomo per scopi pratici e verificabili. Un confine esiste perché c’è una convenzione politica e giuridica a sostenerlo, ma può essere spostato, ridiscusso, eliminato. Dio, invece, non è presentato come una costruzione sociale, ma come un’entità ontologica indipendente dall’essere umano. Se esistesse, avrebbe effetti verificabili al di fuori del linguaggio umano e delle convenzioni culturali. Confondere un costrutto giuridico con un’entità trascendente è un errore di categoria.
Infine, la questione politica: pensare che la battaglia contro l’influenza religiosa vada combattuta con la speculazione filosofica è ingenuo. La religione non si impone grazie agli argomenti teologici, ma tramite potere, tradizione e coercizione culturale. Il credente medio non è tale perché ha letto e trovato convincente Tommaso d’Aquino, ma perché è stato indottrinato da bambino. Quando un politico affronta un credente che vuole imporre una legge basata sulla fede, la risposta non è un dibattito su Dio, ma un’affermazione secca: lo stato è laico. Quando le religioni entrano nel dibattito pubblico, non lo fanno con argomenti sofisticati ma con pressioni politiche e sociali. Pensare di contrastarle con la logica è come cercare di vincere una guerra con un trattato invece che con le armi. Sarebbe bellissimo, ma non ha mai funzionato.
Per concludere, molte conquiste in termini di diritti civili sono avvenute in contesti fortemente religiosi, e questo dimostra che il dibattito teologico non è il motore principale del cambiamento sociale, anche se ne è spesso un’eco o una resistenza. Il vero terreno di scontro è politico e culturale, non speculativo.
Ciao Dario 🙂
Grazie a te per il tempo e la pazienza. Provo a rispondere riguardo ad alcuni punti che mi sembrano interessanti.
Innanzitutto, perché mai la religione non può essere un’altra di quelle “costruzioni simboliche con effetti tangibili” creata con ‘uno scopo pratico e verificabile’? È esattamente quello. È solo un po’ più sofisticata, ma l’esigenza di rispondere alle domande esistenziali è pratica e verificabile tanto quanto quella di dare confini a uno stato o valore ai soldi.
E al pari delle altre costruzioni simboliche può essere, se non eliminata, spostata e ridiscussa, proprio grazie alla speculazione filosofica.
Non è necessario eliminarla del tutto, così come non è necessario dimostrare che dio non esiste: è sufficiente, come dici, mettere in difficoltà l’idea di dio e chi la difende, costringendoli a “fuggire da ogni critica senza mai dover sostenere una posizione coerente”. Se dio viene rinchiuso nel recinto dell’imperscrutabilità non è più in condizione di nuocere.
Un’altra cosa su cui non sono del tutto d’accordo è quando dici: “la risposta non è un dibattito su Dio, ma un’affermazione secca: lo stato è laico”.
Vero, ma così facendo si corre il rischio di sostenere la posizione giusta nel modo sbagliato. Che lo stato debba essere laico ‘perché sì’ non è un granché come argomentazione, e il primo che dice “parliamone” si trova in una posizione di vantaggio, di potere, appunto.
Ciao! Vorrei aggiungere solo un paio di chiarimenti per evitare possibili fraintendimenti.
La prima è che non dovremmo confondere Dio con la religione. Il mio punto è sempre stato questo: se accettiamo la premessa dell’imperscrutabilità, allora non dovremmo discutere di Dio, né i credenti né gli atei. Dio, per definizione, resterebbe al di fuori della nostra capacità di comprensione, quindi ogni speculazione sarebbe tempo sprecato. Potremmo discutere di Dio solo se Egli si rivelasse inequivocabilmente con un atto trasversale e inoppugnabile, senza medium, senza tramiti, senza libri, senza interpreti umani. In altre parole, se Dio volesse essere oggetto di dibattito, dovrebbe prima permettere che la sua esistenza e le sue intenzioni siano verificabili al di là di ogni dubbio.
La religione, invece, è un’altra cosa. Non è Dio, ma un costrutto umano nato dalla pretesa di conoscere Dio. È esattamente come un confine di stato: esiste su un piano formale e interdipendente, ma non è un’entità oggettiva. È un nipote, nemmeno il figlio, di un concetto. Mi spiego meglio: la religione nasce perché qualcuno (o più persone) ha scritto, detto, tramandato o visto qualcosa su Dio. Poi qualcun altro ha raccolto queste narrazioni, le ha organizzate e codificate in un corpus più o meno coerente, trasformandole in un sistema normativo e identitario. Esattamente come accade con la costituzione di uno stato: un insieme di regole nate da un’esigenza sociale, riconosciute da una collettività, ma pur sempre un’invenzione giuridica.
Perfino uno stato, a ben vedere, non esiste come entità materiale: è un accordo tra uomini, un concetto reso operativo da norme e istituzioni. Il problema nasce quando questo meccanismo viene trasfigurato in una dimensione non-umana e trascendente. Sarebbe come se, anziché discutere di diritto e politica, ci mettessimo a dibattere sulla “Giustizia creatrice delle leggi, immortale patrona dei legali e depositaria del giudizio eterno”. La religione fa esattamente questo: prende una costruzione culturale e la proietta su un piano metafisico, pretendendo che sia più di quello che realmente è.
Ecco perché insisto nel dire che il dibattito su Dio è inutile: non perché le religioni non abbiano impatto sulla società (lo hanno eccome), ma perché discutere di un concetto imperscrutabile è una contraddizione in termini. La religione è una realtà sociale, politica e culturale con cui dobbiamo fare i conti, ma Dio, per come viene definito, resta fuori dalla nostra portata. Quindi la vera questione non è se Dio esista o meno, ma perché continuiamo a perdere tempo a parlarne quando la sua stessa definizione rende il dibattito sterile.
Un’ulteriore dimostrazione del fatto che il dibattito politico non è necessariamente legato a Dio o alla religione si trova nell’evoluzione storica dei diritti civili. Stati con una forte tradizione religiosa hanno approvato riforme progressiste senza dover prima “confutare” l’esistenza di Dio.
Alcuni esempi:
Il diritto all’aborto è stato legalizzato in diversi stati a maggioranza cristiana o con influenze religiose profonde, come l’Italia con la Legge 194 del 1978 e la Francia con la Legge Veil del 1975, senza che fosse necessario dimostrare teologicamente che Dio non avesse un’opinione in merito.
Il diritto di voto alle donne è stato ottenuto in paesi religiosi come gli Stati Uniti (1920, con il 19° emendamento), il Regno Unito (1918 e poi 1928 per la parità totale) e l’Italia (1945).
L’abolizione del delitto d’onore, che aveva profonde radici nel concetto patriarcale della morale familiare spesso giustificata religiosamente, è avvenuta in Italia nel 1981 e in Spagna nel 2003.
Il divorzio, un tempo fortemente osteggiato dalla Chiesa, è stato legalizzato in Italia con il referendum del 1974, in Spagna nel 1981 e in Irlanda, uno degli stati più cattolici d’Europa, solo nel 1995.
Il riconoscimento dei diritti LGBTQ+, paradossalmente, è avvenuto anche in paesi a forte impronta religiosa. Gli Stati Uniti, per esempio, nonostante la presenza di predicatori evangelici con sermoni medievali, sono stati tra i primi a normalizzare l’omosessualità nel dibattito pubblico e a riconoscere i diritti delle persone LGBTQ+ con sentenze storiche come Obergefell v. Hodges nel 2015.
Ciò dimostra che la teologia, per quanto possa essere presente nei discorsi morali e politici, non è un ostacolo insormontabile ai cambiamenti sociali. Il progresso non è avvenuto perché abbiamo confutato l’esistenza di Dio, ma perché il dibattito politico e giuridico si è evoluto indipendentemente dalla dimensione teologica. Le conquiste civili sono state ottenute nel contesto di società ancora credenti, senza che fosse necessario eliminare la fede dal dibattito pubblico.
Ciao di nuovo.
Grazie per i chiarimenti. Purtroppo ci sono un paio di questioni che proprio non riesco a vedere in altro modo. Sicuramente è un limite mio e mi scuso in anticipo se abbasserò il livello della conversazione.
In particolare, questa definizione di inconoscibilità sono i credenti per primi che non la accettano.
Questo non è il dio di cui si parla quando si discute se esista o meno. Non è il dio abramitico, è un’altra tradizione, successiva.
Semmai è un punto d’arrivo: quando un credente finisce nel pantano del “non si può sapere” siamo già a buon punto.
Inoltre, non capisco come si possa considerare separati dio e la religione. Il racconto che l’uomo fa di un costrutto culturale è parte del costrutto stesso, e il fatto che sia proiettato anche su un piano metafisico non cambia le cose.
Ciao Benny, figurati qua non sei davanti a un professore per un esame o ad una qualsivoglia autorità quindi il livello della conversazione va benissimo, ci mancherebbe. Anzi, a volte sparo dei pipponi enormi e capisco che possono risultare noiosi o lunghi da leggere, proverò ad essere più conciso.
Come ti dicevo nel commento precedente, proprio i credenti tramite il codice della loro religione hanno inventato il tanzih e il mistero della fedeche sono due modi per dire “non sappiamo (e mai sapremo in questa vita terrena) perchè Dio fa questo e non quello oppure non fa questo e invece fa quello” , ridotto molto alla carlona ma spero il concetto sia chiaro. Anche se fosse una tradizione postuma alla creazione di Dio come mito o alla sua codificazione in quanto religione, questa “clausola” inficia tutto quanto. Perchè? Semplice, perchè se Dio ha la facoltà di agire in maniera imperscrutabile anche solo una volta, non saprai mai quando agisce secondo quello che tu, ipotetico credente, pensi di aver capito o tu, ipotetico ateo, pensi di aver confutato. Ad essere veramente pignoli, posso anche citarti già nell’Antico Testamento, esempi chiari di Mistero della Fede o imperscutabilità di Dio / Trascendenza Assoluta di Dio (Tanzih):
Deuteronomio 29:29 –
“Le cose nascoste appartengono al Signore nostro Dio, ma le cose rivelate sono per noi e per i nostri figli, affinché mettiamo in pratica tutte le parole di questa legge.”
Ecclesiaste 8:17 –
“Allora ho compreso che l’uomo non può scoprire tutta l’opera di Dio. Egli si affatica a cercarla, ma non la trova. Anche se il saggio dice di sapere, in realtà non può comprendere.”
Isaia 55:8-9 – Dio afferma:
“Poiché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Come il cielo sovrasta la terra, così le mie vie sovrastano le vostre e i miei pensieri sovrastano i vostri.”
Come puoi vedere, i creatori del Dio abramitico si sono già parati la schiena con l’imperscrutabilità da circa 4000 anni…
Per chiudere su dio e la religione, Dio e religione non sono inscindibili: esistono culti senza divinità, come il Buddhismo Theravada, il Giainismo o certe forme di Confucianesimo, che sono sistemi religiosi privi di un Dio creatore. Inoltre, il concetto di Dio può esistere senza un culto organizzato, come nel Deismo. La religione è un fenomeno culturale e strutturato, mentre l’idea di Dio può essere puramente filosofica o individuale.
Un saluto,
Dario
E’ un pensiero che condivido, ciò che non possiamo conoscere non può essere discusso. Possiamo però far notare come discutere di qualcosa di inconoscibile sia effettivamente un atto che rasenta la follia, in effetti di che stiamo parlando? Di tutto e di niente.
Grazie, per il tuo commento: ciò che è imperscrutabile non dovrebbe essere discusso in primis da chi crede di averlo capito e lo codifica (dogmi, preghiere, dottrine, spiegazioni…insomma le religioni)
Quanto espresso da Dario molti di noi lo sentono già. Io però non sarei riuscito ad esprimerlo così bene come ha fatto lui. Ho sicuramente espresso i suoi concetti, con qualche insulto, sotto i vari video su YT.
Però non credo sia semplice non discuterne, chiudere questi canali di discussione ed abbandonare il tutto. Siamo animali sociali ed abbiamo bisogno di interazioni. C’è però chi brucia d’astio e chi magari divertendosi, migliora la qualità della sua vita.
Grazie sono felice che la pensi come me; ci tengo a sottolineare che non ritengo il dibattito inutile a prescindere ma nel merito della questione, se si accettano alcune prerogative, lo diventa per corollario.
Io da tempo ho rinunciato a discutere anche se i credenti dicono di accettare il dibattito, il loro accettare é solo una presa per i culo dato che rimasticano sempre le stesse cose ed il ragno resta profondamente rintanato nel buco…del c….
E’ molto più divertente percularli un po e poi mandarli a fanculandia, loro siccome sono fessi non si ricordano nemmeno chi la ha mandati a fanculandia e se si ripropone un discorso abboccano, o hanno la mente corta o non ne hanno affatto 🙂
Grazie per il tuo commento. Si te la butto sul calcio per sdrammatizzare : non importa se una squadra abbia ricevuto una condanna o una penalizzazione o stia andando male in campionato: i suoi sostenitori più ferventi continueranno ad amarla ed a “odiare” le rivali , a prescindere dalla condotta della propria squadra del cuore.Cos’i funziona per le idee politiche spesso e per le credenze, sempre,