Dio è buono. Ma in che senso? Se leggiamo le Sacre scritture, scopriamo che l’idea più comune e popolare della bontà divina è ingenua e sbagliata. Perché anzitutto Dio è coerente.
R. smonta il sillogismo sulle teodicea demolendo una delle sue premesse.
Introduzione
Un argomento spesso avanzato per dimostrare l’impossibilità logica dell’esistenza di un Dio contemporaneamente onnipotente e buono così recita: come è possibile che un Dio onnipotente e buono permetta la sofferenza innocente nel mondo? Se Dio fosse onnipotente, potrebbe eliminare la sofferenza; se fosse buono, dovrebbe volerlo fare; poiché la sofferenza esiste, Dio risulta o non onnipotente o non buono. Di conseguenza l’esistenza del Dio cristiano è logicamente insostenibile.
Ritengo che la fragilità di questo argomento non sia da rintracciare nel suo solido ragionamento interno, quanto piuttosto nei suoi presupposti. Il sillogismo infatti si fonda sull’assunto che la bontà divina implichi necessariamente anche un intervento terreno per eliminare o ridurre materialmente il dolore umano.
Dovremmo allora anzitutto chiederci: davvero la bontà di Dio è da intendere in questo modo? Un’analisi delle Scritture dimostra che questa idea di bontà, sebbene condivisa nella percezione comune, non è pienamente radicata nelle Scritture stesse e che, di conseguenza, i presupposti del sillogismo andrebbero rivisti.
Prima di cominciare faccio due premesse.
Anzitutto voglio chiarire che la concezione di bontà analizzata è quella relativa a Dio secondo la prospettiva cristiana, nella quale la bontà divina si identifica primariamente con la concessione della grazia e il perdono dei peccati. Nella visione ebraica il concetto di bontà divina assume una prospettiva ancora diversa e indica, oltre che il perdono dei misfatti, anche la fedeltà di Dio nel preservare il patto stipulato col popolo d’Israele, la sua attitudine protettiva verso di esso e la sua tendenza a intervenire in suo favore in ogni occasione per perpetuare il proprio piano divino.
La seconda premessa è fondamentale per approcciare la mia riflessione con la corretta prospettiva. Ritengo infatti imprescindibile chiarire esplicitamente il perimetro di questo articolo: il mio scopo non è dare una spiegazione etica alla sofferenza nel mondo o al comportamento di Dio di fronte a essa, quanto piuttosto tentare di argomentare perché, dal mio punto di vista, il sillogismo precedentemente espresso si basa su fondamenta contestabili e non è in definitiva sufficiente per dimostrare l’inesistenza del Dio cristiano per via puramente logica.
La nozione di bontà e i riferimenti nell’Antico testamento
L’errore fondamentale del sillogismo è l’applicazione di un concetto umano di bontà alla natura di Dio. In effetti, nella nostra esperienza comune, una persona buona è solitamente intesa come dotata di un animo gentile, sensibile alla sorte altrui, attiva nel procurare benessere agli altri e nell’evitare loro sofferenza e dolore. Tuttavia nella Bibbia la bontà divina ha un significato radicalmente diverso e si esprime primariamente attraverso la misericordia, la grazia e il perdono, non attraverso un costante intervento volto a eliminare il dolore fisico dal mondo. Piuttosto si esprime talvolta come presenza che offre consolazione spirituale e alimenta la forza interiore.
Vediamo alcuni passi rivelatori in tal senso, direttamente dalla Bibbia, in particolare dall’Antico Testamento.
Il primo fondamento di questa visione si trova in Esodo, dove Dio stesso proclama la Sua essenza, e la sua bontà è espressa in termini di perdono e misericordia a fronte dei misfatti:
Poi il Signore passò ancora davanti a lui e disse: «Io sono il Signore, il Dio misericordioso e clemente, sono paziente, sempre ben disposto e fedele. Conservo la mia benevolenza verso gli uomini per migliaia di generazioni, e tollero le disubbidienze, i delitti e i peccati; (…)».
– Esodo 34,6-7
Un concetto molto simile viene espresso anche in Salmi 103,8-12 e Neemia 9,17. Lo stesso principio è ribadito ancora in Salmi:
Tu sei buono, Signore, pronto al perdono,
pieno d’amore per chi t’invoca.
– Salmi 86,5
In questo passo la bontà divina è esplicitamente associata alla disponibilità di Dio a perdonare. Sempre in Salmi la bontà di Dio si esprime nel desiderio di guidare i peccatori verso la diritta via:
Buono e giusto è il Signore;
insegna la sua via ai peccatori.
– Salmi 25,8
Ancora in Salmi:
Pietà di me, o Dio, nel tuo grande amore;
nella tua misericordia cancella la mia ribellione.
Lavami da ogni mia colpa,
purificami dal mio peccato.
– Salmi 51,3-4
E similmente in Michea:
Nessun dio è come te, Signore: tu cancelli le nostre colpe, perdoni i nostri peccati. Per amore dei sopravvissuti del tuo popolo, non resti in collera per sempre ma gioisci nel manifestare la tua bontà. Avrai di nuovo pietà di noi: calpesterai le nostre colpe e getterai i nostri peccati in fondo al mare.
– Michea 7,18-19
Come si può constatare, in questi passi la bontà di Dio si manifesta sostanzialmente nel perdono dei peccati.
Come detto, talvolta la bontà di Dio viene intesa anche come presenza che consola e offre un sostegno spirituale a superare le sofferenze e le difficoltà, divenendo fonte di forza interiore (Salmi 23,6, Salmi 94,18-19, Salmi 34,8, Isaia 41,10, Salmi 145,13-14, Naum 1,7).
Il Nuovo testamento e la bontà come grazia e redenzione
Nel Nuovo testamento la connessione tra bontà divina e perdono dei peccati diventa ancora più esplicita, inserendo anche il concetto della grazia, profilando così la specifica prospettiva cristiana.
In Efesini infatti la bontà di Dio si esprime nella grazia salvifica. Paolo afferma:
Ma la misericordia di Dio è immensa, e grande è l’amore che egli ha manifestato verso di noi. 5Ricordate, è per grazia di Dio che siete stati salvati: infatti, a causa dei nostri peccati, noi eravamo senza vita, ed egli ci ha fatti rivivere insieme con Cristo.
– Efesini 2,4-5
Continuando:
Così, egli è stato buono verso di noi — per mezzo di Gesù Cristo — e così ha voluto mostrare anche a quelli che verranno, quanto ricca e generosa è la sua grazia.
– Efesini 2,7
Similmente in Romani:
Cristo invece è morto per noi, quando eravamo ancora peccatori: questa è la prova che Dio ci ama.
– Romani 5,8
In questi passi la bontà di Dio è strettamente legata alla Sua grazia e alla salvezza che ha offerto all’umanità attraverso Cristo Gesù.
Ancora, in Tito leggiamo:
Ma ecco che Dio nostro Salvatore ci ha rivelato la sua bontà e il suo amore per gli uomini. Noi non abbiamo fatto nulla che potesse piacere a lui, ma egli ci ha salvati perché ha avuto pietà di noi. Ci ha salvati nel battesimo mediante lo Spirito Santo che fa rinascere e ci dà nuova vita,
– Tito 3,4-5
La bontà divina è identificata con la salvezza concessa gratuitamente.
Di nuovo, in Romani:
O forse agisci così, perché disprezzi la grande bontà, la tolleranza e la pazienza di Dio? Ma non sai che Dio usa la sua bontà per spingerti a cambiare vita?
– Romani 2,4
In questo passo, la bontà di Dio viene vista come un invito alla conversione al fine della salvezza.
Altro passo significativo in tal senso è in Luca:
«Voi invece amate i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperare di ricevere in cambio: allora la vostra ricompensa sarà grande: sarete veramente figli di Dio che è buono anche verso gli ingrati e i cattivi.
– Luca 6,35
In questo versetto la bontà di Dio è descritta come un atto di generosità anche verso coloro che non lo meritano, esemplificando il Suo amore incondizionato e la Sua misericordia.
Il problema della sofferenza
Abbiamo visto quindi che in diversi passi delle Scritture la bontà di Dio si definisce e si manifesta soprattutto nel perdono dei peccati, nella concessione della grazia e talvolta nel conforto spirituale.
Resta tuttavia aperto il problema della sofferenza. Perché Dio permette la sofferenza dei bambini?
Come detto inizialmente, lo scopo di questa mia riflessione non è offrire soluzioni a questo problema. In effetti la Bibbia stessa non offre risposte e anzi sottolinea il limite della comprensione umana nel giudicare le vie di Dio.
Nel Libro di Giobbe, il protagonista chiede ragione delle sue sofferenze e Dio non offre alcuna spiegazione, ma anzi afferma la trascendenza del Suo disegno rispetto alla comprensione umana.
«Chi sei tu?
Perché rendi oscuri i miei piani
con ragionamenti da ignorante?
Invece, da persona matura, preparati,
dovrai rispondere alle mie domande».
«Dov’eri tu quando gettavo le fondamenta della terra?
Rispondi, se sei così sapiente!
– Giobbe 38,2-4
Questo ci porta a formulare la domanda delle domande: di fronte alla sofferenza fisica di un innocente che ne precede la morte, Dio non può o non vuole intervenire per eliminarne o ridurne la sofferenza?
Partiamo dalle qualità che il sillogismo attribuisce a Dio: onnipotenza e bontà.
Dio per definizione è onnipotente, quindi non può non poter intervenire. Dunque la risposta «Dio non può» è da escludere. Talvolta infatti Cristo, che è Dio, guarisce gli ammalati, il che però non implica in alcun modo la necessità logica che debba farlo sempre. Inoltre – a dirla tutta – le guarigioni operate da Cristo hanno un significato ben più profondo di «semplici» sollevazioni dai dolori e vanno inquadrate all’interno del preciso significato escatologico che l’intera vicenda della venuta di Cristo ricopre: sono infatti segni profetici che anticipano la realtà ultima del Regno dei Cieli, sono una testimonianza, una rivelazione, un «segno» escatologico della dinamica di perdono operata da Dio nella realtà eterna e prefigurano la redenzione definitiva nel Regno di Dio, del quale Gesù stesso si proclama non a caso annunciatore, anticipatore e rivelatore e che si compirà pienamente alla fine dei tempi (si veda Matteo 8,16-17, Matteo 11,2-6 che riprende chiaramente Isaia 35,5-6, Marco 1,14-15, Marco 2,17, Luca 11,20, Giovanni 6,26-27, Giovanni 11,25, Apocalisse 21,3-4).
Dio per definizione è anche buono. Nelle considerazioni fin qui fatte tuttavia abbiamo visto in che senso primario nelle Scritture, in una prospettiva cristiana, Dio è esplicitamente definito «buono».
Dunque, ammettendo che la risposta alla domanda sopra «Dio non può o non vuole intervenire?» sia «Dio non vuole intervenire», ci dobbiamo chiedere: questo fatto comporterebbe una contraddizione logica tra gli attributi di Dio definiti nel sillogismo? La risposta è no, perché non implicherebbe la mancanza della qualità della bontà, in virtù del significato che il termine «bontà» assume nelle Scritture quando riferita a Dio, che in definitiva non implica la necessità logica di un suo perpetuo intervento nel liberare materialmente gli uomini dalle sofferenze terrene. Infatti una delle due premesse del sillogismo iniziale cambierebbe da «Se Dio è buono, allora vuole eliminare la sofferenza» a «Se Dio è buono, allora offre grazia, redenzione e perdono, non necessariamente eliminando la sofferenza terrena». Con questa premessa, Dio può essere sia onnipotente sia buono senza contraddirsi dal punto di vista logico.
Certo, in questo modo potrebbe profilarsi l’immagine di un Dio ingiusto, cinico, distante rispetto alle vicende terrene e potrebbe generarsi una tensione tra l’azione di Dio e la nostra aspettativa verso di essa. Tuttavia, così ragionando, la discussione si sposterebbe su un piano etico-esistenziale, non più prettamente logico-formale.
Ritornando dunque al sillogismo iniziale, come si può dimostrare l’inesistenza di qualcosa se quel qualcosa viene definito in modo impreciso nelle premesse della «dimostrazione»? Come può valere la conclusione dell’argomentazione, se l’argomentazione stessa fa leva e si fonda su un concetto di bontà che non è quello con cui viene intesa la bontà di Dio nelle Scritture?
Si potrebbe obiettare a questo punto chiedendo: come mai Dio predica a noi di perpetuare amore, cura reciproca e altruismo, insegnando che arrecare dolore e sofferenza al prossimo è moralmente sbagliato, e poi lui fa soffrire i bambini? Dio predica bene e razzola male? Questa posizione è legittima, anche se ritengo che anche questa sia «viziata» dall’errore concettuale di far coincidere la dimensione terrena umana con la dimensione eterna divina e di conseguenza presupporre erroneamente che la morale che Dio insegna agli esseri umani sia identica alla morale di Dio (ma questo tema merita una eventuale riflessione a parte e non rientra nel perimetro argomentativo di questo articolo). Tuttavia il punto fondamentale è che questa obiezione sposta il discorso dal piano logico a quello etico-esistenziale. Anche se qualcuno ritenesse ingiusto il modo in cui Dio agisce o non agisce nel mondo, ciò non dimostrerebbe la sua inesistenza ma aprirebbe una questione di coerenza morale, che è un piano di discussione differente da quello logico su cui pretende di muoversi il sillogismo iniziale.
Ritengo infatti che ciò che è stato detto finora sia sufficiente per mettere in discussione la validità del sillogismo inizialmente presentato, indipendentemente da qualsiasi altra (comprensibile e legittima) critica e obiezione di tipo etico-esistenziale, che non ha nessun valore nel dimostrare per via logica l’inesistenza di Dio.
Conclusione
L’argomento inizialmente presentato dimostra solo che non può esistere un Dio contemporaneamente onnipotente e buono, coerente con la definizione di bontà per come questa viene da noi normalmente intesa nella quotidianità, ma non per come è definita, concettualizzata e intesa nelle Scritture.
Le Scritture mostrano in più passi che Dio viene definito «buono» non perché libera materialmente gli esseri umani dalle loro sofferenze terrene – piuttosto offre consolazione e sostegno spirituale –, ma in quanto perdona i peccati, concede grazia e offre redenzione.
Il problema del dolore rimane un mistero per la mente umana, e l’intento di questa riflessione, come più volte detto, non è darne una spiegazione. Tuttavia questa mancanza di risposte non è sufficiente per dimostrare la contraddizione logica del Dio cristiano, perché qualsiasi argomento in tal senso pretende di definire Dio secondo categorie e qualità umane, mentre la Bibbia afferma chiaramente che la bontà divina opera su un piano totalmente diverso, che agisce in una dimensione di eternità: Isaia 55,8-9 è illuminante nell’esprimere questo concetto.
In conclusione, nonostante la questione della sofferenza resti aperta sotto il profilo morale ed etico-esistenziale, ritengo che, sulla base di quanto esposto in questo articolo, la persistenza della sofferenza nel mondo non costituisca un’argomentazione logica sufficiente contro l’esistenza di Dio.
R.
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Ieri sera ho avuto il solito appuntamento mensile del gruppo libri e, fra una discussione e l’altra, ad un certo punto siamo andati a parlare di religione.
Senza troppe sorprese, tutte e 4 le signore che si professavano credenti avevano 4 idee diverse sul loro Dio cristiano e cattolico (a cui dicono di appartenere). Su una cosa però erano tutte d’accordo: che in fondo la Bibbia va presa per quello che è (una fonte storica ormai superata)… e che NON è in quei testi che si deve basare la credenza religiosa. In pratica: queste signore rivendicavano con orgoglio un tipo di religione diversa… prendendo cioè le distanze (dal vecchio testamento in particolare) da quello che al giorno d’oggi non piace più (e non è più accettabile).
Questo ci fa capire alla fine che il cristiano di oggi non bada nemmeno tanto ai capisaldi della sua stessa religione. Non c’è una visione comune di Dio… ognuno lo interpreta a modo suo costruendolo tramite i propri sentimenti e la propria spiritualità. Di quello che dicono i preti, della dottrina cristiana ufficiale, al credente medio non gliene può fregare una cippa!
La discussione divertente di ieri mi ha fatto tornare in mente il mugnaio Menocchio del saggio “i Formaggi i Vermi”. Pure lui credeva in Dio… ma potendo leggere altre fonti (i libri che possedeva) aveva finito col deformarlo e trasformarlo a suo piacimento.
Credo perciò che nella società di oggi la religione cristiana stia attraversando ormai questa stramba mutazione… la mia domanda perciò è la seguente (e vuole essere solo costruttiva): ha senso conbattere ancora la religione confutando i testi sacri?
Domanda molto interessante. Provo a rispondere.
Premesso che poi ciascuno fa quello che gli pare, a me pare che abbia senso farlo. Perché è vero che la gente se ne sbatte dei testi sacri e si ritaglia su misura la propria religione fai-da-te, però i testi sacri rimangono il fondamento dell’autorevolezza dell’istituzione. Ed è quella – l’istituzione – che va abbattuta, non la fede in sé. La fede in sé, se non ci fosse la Chiesa, sarebbe un fatto privato privo di conseguenze per la collettività. Invece è l’istituzione che pretende di condizionare le vite di tutte e per farlo ha bisogno di autorevolezza, che appunto fonda sui testi sacri. Le quattro signore possono anche farsi ciascuna la propria religione, ma proprio perché alla fine accettano di appiccicarsi addosso l’etichetta con la scritta “Cattolica” continuano a far credere che la Chiesa cattolica sia meritevole di stima e goda di prestigio perché ha un grande seguito.
A ciò aggiungo che quello che tu scrivi è corretto per il cristianesimo ma non per l’altro grande monoteismo in crescita in Occidente. Infatti quasi non esistono musulmani con la fede fai-da-te. Quasi tutti loro prendono invece come fonte autorevole di Verità il Corano, e guai anche solo a pensare che sia un libercolo qualunque.
Decisamente d’accordo con il tuo ragionamento sul combattere l’istituzione.
Meno (ma è il mio punto di vista) su quanto dici sull’Islam. è vero che i musulmani prendono come verità il Corano (a differenza del credente cattolico medio)… ma è proprio il fatto che la loro religione si basa sulla inesistenza di un potere centrale (come l’autorità della Chiesa e del Papa) ha rendere ogni singolo musulmano un perfetto creatore di una fede fai-da-te. Inoltre, come i cattolici, pure i musulmani non sono esente da scismi (Sciti e Sunniti).
Quando sento parlare un musulmano che dice:” l’islam è una religione tollerante e libera” e poi ascolto un altro, che invece in nome di Allah vorrebbe tagliare la testa a tutti i miscredenti… ecco, mi verrebbe da rispodere: “avete entrambi ragione!”.
L’argomentazione secondo cui Dio è “buono” e coerente secondo le Scritture si basa su un presupposto fragile: la possibilità di attribuire a Dio caratteristiche comprensibili e definite dalla prospettiva umana. Tuttavia, le stesse Scritture abramitiche – dalla Bibbia al Corano – affermano ripetutamente che Dio è imperscrutabile. Se accettiamo questo principio, ogni discussione sulla bontà divina si rivela priva di fondamento logico: non possiamo sapere nulla della sua natura, delle sue volontà, né tantomeno della coerenza delle sue azioni nel tempo.
Se Dio è veramente imperscrutabile, allora qualsiasi tentativo di definirlo è già fallimentare. Il problema logico è evidente: possiamo parlare della bontà divina solo se assumiamo che Dio sia conoscibile. Ma le Scritture stesse negano questa possibilità.
Isaia 55,8-9
«I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie, oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.»
Giobbe 38,2-4
«Chi sei tu che oscura il mio consiglio con discorsi da ignorante? Cingiti i fianchi come un prode: io t’interrogherò e tu mi istruirai! Dov’eri tu quando io ponevo le fondamenta della terra? Dillo, se hai tanta intelligenza!»
Questi versetti mostrano chiaramente che Dio non può essere giudicato con criteri umani. Parlare della sua “bontà” o “coerenza” diventa quindi un esercizio arbitrario e privo di fondamento.
Un altro problema cruciale è che, se Dio è imperscrutabile, la sua volontà potrebbe essere mutata infinite volte, prima, durante e dopo la rivelazione delle Scritture. Il concetto stesso di una “volontà divina immutabile” è una costruzione umana che non trova alcun reale fondamento.
Ecclesiaste 8,17
«Io mi sono applicato a conoscere la sapienza e a considerare le cose che si fanno sulla terra, e ho visto che l’uomo non può scoprire l’opera di Dio. Per quanto fatichi a cercarla, non la troverà mai.»
Sura 6:59 (Corano)
«Presso di Lui sono le chiavi dell’invisibile: nessuno le conosce all’infuori di Lui. Egli conosce ciò che è nei cieli e sulla terra.»
Se Dio è davvero al di sopra della nostra comprensione, allora non possiamo nemmeno essere certi che le Scritture rappresentino fedelmente la sua volontà attuale. La rivelazione potrebbe essere stata valida in un momento, ma Dio potrebbe aver cambiato idea innumerevoli volte senza che l’uomo ne sia consapevole.
3. Dio non può essere buono né cattivo: queste categorie non gli appartengono
Attribuire a Dio la bontà significa applicare un concetto umano a qualcosa che per definizione è oltre l’umana comprensione. Tuttavia, le Scritture stesse mostrano un Dio che è, a seconda dei contesti, amorevole, punitivo, distante, vendicativo, misericordioso. Questo dimostra che non esiste una singola definizione di Dio:
Romani 11,33-34
«Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti, chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore?»
Sura 42:11 (Corano)
«Non c’è nulla che gli somigli, ed Egli è Colui che tutto ascolta e tutto osserva.»
L’idea che Dio sia “buono” è una proiezione umana, non un dato di fatto. Se Dio è realmente imperscrutabile, allora non possiamo sapere se sia amorevole, crudele, neutrale o qualcosa che va oltre tutte queste categorie.
4. Il problema della sofferenza non ha soluzione se Dio è imperscrutabile
L’argomentazione secondo cui la sofferenza nel mondo non contraddice la bontà di Dio perché Egli agisce su un piano superiore si basa su una premessa erronea: che noi possiamo comprendere il suo agire. Ma se Dio è imperscrutabile, non possiamo sapere se abbia o meno una “ragione” per permettere il male.
Sura 2:216 (Corano)
«Può darsi che disprezziate una cosa che invece è un bene per voi, e può darsi che amiate una cosa che invece è un male per voi. Allah sa, mentre voi non sapete.»
Se solo Dio conosce la verità, allora ogni nostro tentativo di spiegare la sofferenza è privo di valore. Il problema del male diventa insolubile, non perché troviamo una risposta soddisfacente, ma perché non possiamo nemmeno sapere se una risposta esista.
Conclusione: ogni discussione sulla “bontà di Dio” è priva di senso
Accettare l’imperscrutabilità di Dio significa ammettere che:
– Non possiamo sapere nulla della sua natura
– Non possiamo sapere se la sua volontà sia coerente nel tempo
– Non possiamo dire se sia “buono” o “cattivo”
– Non possiamo nemmeno sapere se il problema del male abbia una soluzione
Se tutto questo è vero, allora il tentativo di dimostrare che Dio è buono – così come il tentativo di dimostrare il contrario – è privo di fondamento. Ogni discussione su Dio parte dal presupposto che sia comprensibile, ma se accettiamo l’imperscrutabilità come reale, allora qualsiasi ragionamento su di Lui crolla.
Le religioni stesse si basano su un’assunzione arbitraria: che Dio abbia rivelato una volontà definitiva e immutabile. Ma se Dio è imperscrutabile, allora la sua volontà potrebbe essere cambiata infinite volte senza che noi lo sappiamo, rendendo ogni dottrina religiosa nient’altro che un tentativo umano di comprendere l’incomprensibile.
L’imperscrutabilità di Dio, una volta accettata, distrugge ogni pretesa di conoscenza su di Lui e rende qualsiasi discussione sulla sua bontà un mero gioco di speculazioni umane senza alcun valore oggettivo.
Un cattolico potrebbe risponderti che Dio è imperscrutabile, certo, però rivela ciò che vuole rivelare, quando e come vuole. Nel caso del Dio dei cristiani, ha rivelato quello che voleva nel Nuovo testamento. Tu lo devi leggere e tenerlo per vero finché Dio non rivelerà qualcos’altro, magari differente.
Nel Nuovo testamento, come ha spiegato R., non c’è scritto che Dio è buono nel senso umano, cioè non si afferma che Dio vuole/deve impedire la sofferenza umana sulla Terra, come immagina la credenza ingenua in un Dio amorevole. E questo è quanto.
Tecnicamente però non è corretto anche per un cristiano: il Nuovo Testamento non è stato redatto da Dio in persona o comunque non esistono prove che possa essere stato redatto da Dio in persona, non raccoglie un codice etico morale omogeneo e in ogni caso, Dio lascia morire suo figlio-se stesso in croce dopo atroci sofferenze, secondo gli scritti. Questo fatto da solo, se preso per vero, dimostra che Dio è imperscrutabile nelle sue scelte, poiché in questo caso ha deciso di uccidersi tramite un avatar per salvare le nostre anime. Avrebbe potuto fare mille altre cose ma ha scelto questa, quindi non possiamo comprenderlo e quindi non possiamo attribuirgli nessuna delle caratteristiche umane. Ma il problema è sempre l’origine : il Nuovo Testamento come è stato provato, è un insieme di scritti di diversi autori anonimi lontani dai fatti accaduti e non testimoni oculari. Già questo è sufficiente per non considerare affidabile la fonte che è umana e non divina. Secondo poi, sia nuovo testamento che vecchio, esplicitamente, definiscono Dio imperscrutabile e non comprensibile (nel mio precedente commento le fonti ) pertanto nessuno può attribuire a Dio qualsiasi caratteristica che sia vera e valida oltre ogni ragionevole dubbio.
Bha!
Come fare ad essere d’accordo.
Non hai detto una parola sensata, ne spiegato niente di niente: tutta fuffa.
dio è buono perché lo dice la bibbia? Ma la bibbia non l’ha mica scritta dio e neppure uno ben informato, viste le varie versioni esistenti, alcune profondamente diverse.
dio non esiste! Quindi non può scrivere niente, ne pensare, ne fare niente… quello che alcuni hanno scritto nei libri della bibbia era il loro pensiero che indiscutibilmente contraddittorio.
Però il dio raccontato nella bibbia non è certamente buono, anzi non è, non è reale.
Dimostrane, prima, l’esistenza poi possiamo discutere della sua bontà o meno.
La teodicea è sempre valida dio può e non vuole o vuole e non può? Non ho sentito parole chiare e sensate di risposta.
Comunque il problema non si pone fino a quando non dimostri dio senza ricorrere a cosa c’è scritto in un libro.
Credi in cosa vuoi ma non raccontare frottole o argomenta con i fatti.
Ho di meglio da fare, come penso tutti gli altri.
Leggendo questa discussione il mio primo pensiero è “Ma perché viene presa così sul serio la bibbia?”
è una domanda che mi faccio spesso, non vedo motivi per cui dovremmo basare alcunché su un mucchio di libri qualsiasi… a questo punto ispiriamoci alla cosmogonia di Tolkien che è più sensata e coerente.
Scherzi a parte, si dovrebbe descrivere con dettaglio quale consolazione e sostegno spirituale siano stati concessi alle persone che hanno sofferto e sono morte durante l’inondazione di Noé, durante la distruzione di Sodoma e Gomorra e in Egitto con le piaghe (giusto per dire tre eventi descritti nella bibbia): il numero di volte in cui è scritto “dio è buono” nella bibbia è estremamente minore rispetto al numero di persone uccise direttamente dal dio stesso secondo il suo stesso testo sacro…
Un Dio che sacrifica se stesso a se stesso per salvare l’unanimità da se stesso.
Stiamo dibattendo da 2.000 anni su questa assurdità.
Ottimo articolo! Mi permetto di condividerlo🎩
Vi ringrazio ancora per tutti gli sforzi di divulgazione che state facendo.
Penso che nel sillogismo ci sia una fallacia di equivoco, legata all’uso ambiguo della parola ‘buono’. Secondo me, l’argomento dà per scontato che la bontà di Dio significhi eliminare la sofferenza innocente, come intendiamo noi umani. Invece, la tradizione cristiana – come hai mostrato con i versetti biblici – descrive la bontà divina più in termini di grazia, perdono e redenzione, non necessariamente come un intervento per cancellare il dolore terreno. Per questo, credo che le premesse non reggano rispetto al concetto di Dio che il sillogismo vuole confutare, e la conclusione, a mio vedere, non sta in piedi logicamente.
Poi, rileggendo i versetti che hai citato – e che, tra l’altro, ricordo a memoria – mi è venuta in mente una domanda importante che mi porta dall’infanzia e che mai ha avuto risposta : come mai un messaggio così cruciale di salvezza e redenzione è rivolto solo a un piccolo popolo? Mi spiego meglio: se un asteroide cade, è una catastrofe per tutti, senza distinzioni. Eppure, un piano di salvezza così grande non viene annunciato al mondo intero nello stesso momento? Ai tempi di Mosè, Dio parla direttamente a lui, ma non lo fa in modo universale, anche se si stima che tra il XIII e il XII secolo a.C. vivessero tra i 25 e i 50 milioni di persone. E al tempo di Cristo, nel I secolo d.C., la popolazione era salita a 170-300 milioni, con l’Impero Romano che da solo contava 50-60 milioni di abitanti – non proprio un dettaglio da poco per lasciar fuori un messaggio così fondamentale!
Se sei Dio hai il diritto morale e il dovere di avvisare tutti indistintamente , così come avviene con l’amministrazione di un condominio di 4 ,50 oppure 200 appartamenti dove tutti sono avvisati( e aggiornati soprattutto) di ció che avviene riguardo il condominio,nel mentre le nostre vite sono impegnate.
La mia é solo una riflessione, un saluto
MrRobot
Dio si rivolge al suo popolo, il popolo prediletto, non a tutta l’umanità. La Bibbia lo dice chiaramente….
Ma che faccio? Mi lascio trascinare in queste diatribe millenarie?
Dio probabilmente non esiste. E se esiste può essere ipotizzato solo in una vaga idea spinoziana (Deus sive Natura), non certo nelle divinità delle religioni, tanto meno nel Dio biblico.
Dopo Schopenhauer (è l’uomo che ha creato dio a sua – dell’uomo – immagine e somiglianza), ancora perdiamo tempo a discutere su come deve o non deve comportarsi?
È un approccio interessante e contribuisce a porre nella giusta prospettiva la questione. Nel Cristianesimo è particolarmente presente questa tensione perenne tra l’ assoluta trascendenza e il Dio che si fa uomo, tensione che però è anche contraddizione. Perché se Dio sceglie di rivelarsi attraverso il linguaggio umano, e chiede di essere “amato” dalle sue creature, accetta implicitamente di condividere il significato della parola “amore” nell’ accezione a noi comprensibile. Affermare che l’ amore di Dio si manifesta nel perdono dei peccati (peraltro da Lui previsti e conosciuti da sempre) nella grazia (elargita con aperti favoritismi) e nella redenzione (vedi nota sui peccati) è sicuramente biblico, ma lascia aperta la domanda.
Dio è buono perchè offre grazia, redenzione e perdono.
Partiamo dall’ultima delle offerte, il perdono: se a parole dio dice di perdonare, nei fatti non lo fa. Cito alcuni avvenimenti biblici che sono da esempio:
1) Adamo ed Eva: fossero stati perdonati non saremmo qui a discutere;
2) il diluvio universale: dio uccide letteralmente tutto e tutti perchè l’umanità non gli obbedisce;
3)le città di Sodoma e Gomorra: distrutte per la loro immoralità (Sodoma almeno, Gomorra boh!)
4) quel tizio che ha toccato l’arca dell’alleanza per impedire al coperchio di cadere ed è stato letteralmente ammazzato di botte da dio perchè aveva ordinato che l’arca non fosse toccata.
Quindi dio, almeno nell’antico testamento, non perdona e se dice di farlo è ipocrita.
La redenzione: nel nuovo testamento, dio per bocca di gesú condanna chi non crede in lui all’inferno. Magari perdonerà i peccati commesso in vita, o il non credergli finchè si è in vita, ma una volta morti nel peccato (grave) non c’è possibilità di redenzione, si soffre per sempre. Quindi se proprio vogliamo parlare di redenzione, al massimo è temporanea, ma se consideriamo la durata della vita di un uomo in rapporto all’eternità, si comprende che dio concede la redenzione per un tempo trascurabile.
La grazia: sarò onesto, faccio fatica a comprendere il significato di questo termine, mi sembra uno di quei classici concetti in cui ognuno vede ciò che vuole, ma in realtà sono vuoti. Se lo consideriamo semplicemente come concedere il dono della fede, o fare ogni tanto dei miracoli per fare vedere la sua potenza, elargire questi “doni” a pioggia, a qualcuno sí e ad altri no, mi sembra un po’ poco per definire un dio buono: è come ritenersi buono perchè ogni tanto si danno due spiccioli ai senzatetto: se fai la carità ogni tanto e basta, non sei buono, ti stai solo svuotando le tasche.
Quindi per concludere: se dio è buono perchè redime, perdona e concede la grazia, allora è buono solo a parole, perchè la redenzione è solo per un tempo limitato, il perdono solo a volte e in ogni caso a seguito di pentimento e totale prostrazione delle peccatore; la grazia, infine, è un dono che elargisce con troppa parsimonia per poterlo definire buono.
dio mente e questo basta per far capire che NON è affidabile e buono sia per i nostri standard sia per i popoli della bibbia poichè, in generale, la menzogna non è mai ritenuta una buona cosa: dio mente quando proprio in Esodo 34,6-7 afferma di perdonare le persone e poi per ogni minima infrazione giù palle di fuoco! Personalmente io gioco su un’altra caratteristica che viene imputata a dio e cioè la perfezione: a parte il fatto che se fosse stato un essere perfetto sarebbe bastato a se stesso e non si sarebbe messo a creare cose così, ma soprattutto avrebbe creato qualcosa di assolutamente incorruttibile ed invece ha creato angeli e una certa parte di loro si sono ribellati (cioè gli esseri più vicino a lui e vicino alla perfezione si sono ribellati e lui non ne sapeva nulla prima di ciò??? dov’è la sua onniscienza???). Crea una specie di universo tanto carino e “perfetto” a forma di quei souvenir a palla con la neve dentro e la prima coppia di custodi che ci mette dentro lo rovina irrimediabilmente. Non credo che la nostra concezione di perfezione sia diversa da quella degli antichi pertanto oltre alla teodicea proporrei la “perfectum ad mentula canis” (traduzione fatta alla meno peggio con google traduttore, “se sbaglio mi corriggirete” cit.)
Caro R, stai praticamente asserendo che per te è buono anche chi ti regala 1000€ ma allo stesso tempo ti fracassa le ossa.
Resto perplesso… tutto questo spiegone per poi, alla fine, affermare che dio sarebbe buono in modi diversi rispetto a quello che intendiamo noi. Esticazzi, come dicono a Roma; io, quando mi riferisco a qualcosa di buono, lo faccio pensando a quello che significa per me e per gli uomini della mia epoca (almeno quelli civili e moderni). Che mi frega se nella Bibbia o presso le tribù analfabete di cammellieri e beduini di 200 anni fa, la parola “buono” aveva un significato diverso. Io lo definisco qua, ora ed adesso e per me non è buono. Se mi si dice che dio, qualora esistesse, sarebbe quell’onnipotente, sadico e stronzo che si è inventato e ci ha piazzato in questa sorta di Squid Game dove, il premio, è andare in paradiso (che poi, discutiamone… premio? Mah… ), allora potrei crederci. Ma definirlo buono e poi cercare di giustificare tale definizione in modo diverso, per citare i Trettrè, “ammè, me pare na….”. Ecco, ci siamo capiti. La sfida della teodicea regge più che mai.