«Dio è il Bene!»

Una supercazzola che sembra sofisticata ma che non risolve niente.


Quando si osserva il mondo per cercare di capire com’è, nessuno è una tabula rasa. Tutti abbiamo ipotesi pregresse. Quelle ipotesi vanno poste a confronto con la realtà e, se vengono smentite, vanno rigettate. In questo consiste l’onestà intellettuale: la capacità di rinunciare alle proprie ipotesi di fronte a prove contrarie cogenti. E per questo la sofferenza innocente è un incubo filosofico per i credenti abramitici: siccome per loro l’esistenza di un Dio onnisciente, onnipotente e buono è un dogma indiscutibile e irrinunciabile, il confronto con l’evidenza innegabile del dolore dei bambini li costringe a masturbazioni intellettuali e a supercazzole filosofiche oltre il limite del ridicolo. Sono le teodicee, una più assurda e demenziale dell’altra.

La sfida della teodicea lanciata a tutti gli apologeti di ‘stocazzo dello zoo dei bigotti consiste nell’invito a formulare una teodicea razionale per spiegare come mai quel Dio onnisciente, onnipotente e buono permette la lunga, atroce agonia di Alice. Il caso di Alice, che a 4 anni è sepolta sotto le macerie della sua casa distrutta da un terremoto e prima di morire affronta molte ore di tormento nel dolore, nel terrore e nella solitudine, è proposto come esempio di sofferenza senza alcun senso o scopo, prolungata e terribile, con l’esplicito intento di rendere inapplicabile ogni teodicea proposta finora: dal peccato originale fino alla condivisione divina del dolore attraverso il sacrificio di Cristo, dal libero arbitrio umano fino all’azione del Maligno. Il filosofo William Rowe ha suggerito il caso di un cerbiatto intrappolato da un incendio della foresta che prima di morire agonizza per ore a causa delle ustioni. L’esempio è altrettanto efficace, ma io preferisco la bambina, perché secondo alcuni apologeti – poveri stronzi senza empatia – la sofferenza animale non conta. Attenzione: in entrambi i casi il Male è il dolore, non la morte. Dio potrebbe cancellare quel dolore uccidendo sul colpo la bambina e il cerbiatto, ma non lo fa: quei due esseri senzienti – e innocenti, poiché incapaci di procurare dolore a propria volta – soffrono a lungo prima di morire.

Comunque, che si tratti di una bambina o di un cerbiatto, alla fine tutte le teodicee ne escono demolite: non se ne salva una. Alcune sono manifestamente più idiote, qualche altra sembra un po’ più sofisticata. Come quella secondo la quale «il Male è l’assenza di Bene». Ma sembra soltanto.

Il Male non esiste in Natura. Il Male presuppone infatti il giudizio di un essere senziente. Dunque può essere solo soggettivo: il Male per la gazzella è un Bene per il leone. In un universo costituito soltanto da materia inanimata non esiste neppure il giudizio: niente esseri senzienti, niente Bene e niente Male. Una supernova che distrugge un sistema planetario disabitato non fa né Bene né Male. Diverso il caso – ovvio! – se uno di quei pianeti ospita una vita senziente in grado di provare paura e dolore. Così è da sempre anche nella cultura umana: il Male non è un concetto astratto, ma un’esperienza molto concreta. Il mio dolore fisico per un’ustione. La mia disperazione per mia figlia malata terminale. La mia paura per l’uragano che incombe sulla mia casa. Da questa esperienza deriva il conflitto con l’idea di una divinità onnisciente, onnipotente e buona.

Dio è onnisciente: sa tutto. Questa è facile. Dio è onnipotente: può tutto. Pure questa è facile. Poi ne vengono fuori dei bei paradossi – non può essere sia onnisciente sia onnipotente, poiché non può fare qualcosa di differente da ciò che già sa con certezza che farà in futuro –, ma è un altro problema. Resta un fatto: onniscienza e onnipotenza sono facili se non da capire almeno da intuire, amplificando all’infinito le proprietà umane della conoscenza e della potenza. Ma la bontà? E l’amore? Che cosa significano?

Se io amo qualcuno, desidero il meglio per quella persona. Desidero che stia bene. Soprattutto desidero che non soffra. Di più: l’idea stessa della sua sofferenza mi è insopportabile. Perciò faccio tutto il possibile per proteggerla. Siccome provo empatia, estendo il mio desiderio di lenire la sofferenza di ogni essere umano, anzi di ogni essere senziente. E definisco «buono» chiunque agisca così, nei limiti delle proprie possibilità.

Dio è buono. Dio ama le sue creature. Chi lo afferma estende alla divinità l’esperienza umana dell’amore. Giacché le possibilità divine sono illimitate – lui è onnipotente – ogni dolore dovrebbe essere cancellato. Perciò anche un singolo essere senziente travolto dalla sofferenza è una condanna senza appello per il Dio onnisciente, onnipotente e buono. Quel Dio non esiste. Se esistesse un Dio che, pur potendo impedirlo, permettesse il dolore dei più piccoli, sarebbe un Dio malvagio e meriterebbe di essere mandato ‘affanculo.

«E se le sofferenze dei bambini fossero destinate a completar quella somma di sofferenza, che era il prezzo necessario per l’acquisto della verità, in tal caso io dichiaro fin d’ora che tutta la verità non vale un tal prezzo.»
– Ivàn Karamàzov, in F. Dostoevskij, «I fratelli Karamàzov»

Che cosa fa l’apologeta un po’ meno sprovveduto? Inventa una supercazzola più lambiccata e ridefinisce il Male come «assenza di Bene». Poi sogghigna furbetto verso l’ateo, come per dire: «T’ho fregato!».

Per farlo smettere di sogghignare ci vuole poco.

In primo luogo bisogna tirarlo giù dall’iperuranio dei concetti astratti e delle seghe mentali e riportarlo alla reale natura del Male. John Loftus, l’ateo militante e controapologeta che cura l’ottimo blog Debunking Christianity, ha intitolato il suo libro a più mani sulla teodicea «God and Horrendous Suffering», non «God and The Evidential Problem of Evil», proprio per insistere sul fatto che il Male è dolore e sofferenza, non una masturbazione intellettuale astratta. Bisogna quindi costringere l’apologeta ad applicare la definizione «il Male è assenza di Bene» a un caso concreto. Ché – lo abbiamo detto – il Male è anzitutto esperienza concreta del dolore. Prendiamo Alice: in che senso la sua agonia è «assenza di Bene»? Che vuol dire? Che lei soffre perché non può più giocare serena nella sua cameretta, come accadeva poche ore prima del sisma? Se il Male è il dolore, il Bene è il piacere? Perciò se mi masturbo e ho un orgasmo sto facendo il mio Bene?

Difatti il problema è la definizione del Bene: che d’è?

Qualche bigotto nemmeno prova a rispondere: dichiara che «il Male è l’assenza di Bene» e si ferma lì, senza definire il Bene, credendosi furbo per aver escogitato una siffatta, raffinata teodicea.

Ma c’è anche di peggio. Una volta un prete, dopo avermi spiegato che il Male è l’assenza di Bene, ha aggiunto che il Bene è l’assenza di Male. Quando mi sono messo a ridere pensando che scherzasse, si è incazzato: diceva sul serio. Dopodiché mi sono incazzato io. Non è finita bene.

Non tutti sono tanto idioti. Qualche apologeta prova a definire il Bene così: il Bene è Dio, Dio è il Bene. In che senso? Nel senso che «il Bene è la pienezza dell’Essere».

Perché Dio è il Bene? Per il semplice fatto che Dio è appunto l’Essere come tale, lui è l’Essere autosussistente, lui è l’Essere perfetto, sommamente perfetto. (..) Pertanto lui è il Sommo Bene, quindi come tale Dio non… non può per esempio fare il Male. (…) Che cos’è il Male? Semplicemente la privazione del Bene dovuto, come tale il Male non ha nemmeno una realtà ontologica. Perché? Perché ciò… la cosa la quale noi chiamiamo Male in realtà non è altro che la privazione di un Bene dovuto, (…)

Se ti sembra una supercazzola è perché in effetti è proprio una supercazzola.

La pienezza dell’Essere è un concetto astratto. Può andar bene a un deista. Tuttavia sfido qualsiasi credente abramitico a conciliarlo con una divinità antropomorfa che «fa cose»: pensa, vuole, crea, distrugge, ordina, proibisce, premia, condanna, addirittura si pente di una propria azione precedente. Come cazzo fa un concetto astratto ad avere una volontà, ad agire, a giudicare, a pentirsi? Boh.

Con il Dio/Bene, pienezza dell’Essere, siamo ancora più lontani dall’esperienza del dolore condivisa da ogni essere senziente. L’apologeta vada a dire ad Alice sotto le macerie che Dio è il Bene, che è la pienezza dell’Essere, che la sua esperienza è solo «privazione di un Bene dovuto» e che «il Male non ha nemmeno una realtà ontologica». Aggiunga poi che

«(…) un qualcosa solamente già per il fatto che esiste, che possiede l’atto di essere, già è buona (…)»

Quindi anche la putrella che ha maciullato le gambe di Alice sotto le macerie è buona. Come minimo Alice manderà l’apologeta a farsi fottere. E farà Bene (ah ah).

In secondo luogo, perfino accettando la supercazzola del Male come assenza di Bene, il problema della teodicea rimane irrisolto.

Se Dio è il Bene e il Male è l’assenza di Bene, allora il Male è l’assenza di Dio. Ovvero: dove c’è il Male, in quel preciso punto dello spaziotempo, Dio non c’è, Dio non esiste. Come come come? Ma Dio è sempre e ovunque! Dio è onnipresente! Com’è ‘sta cosa?

Perciò Dio non esiste in ogni momento e in ogni luogo: dove c’è il Male, non c’è Dio. Però Dio è onnipotente. Dio potrebbe essere sempre e ovunque, se soltanto volesse. Se non è sotto le macerie con Alice, significa che ha deciso lui di non esserci. Allora è stronzo. Oppure vorrebbe esserci ma non può? Allora non è onnipotente.

Sicché nemmeno così se ne esce: «il Male è l’assenza di Bene» non solo è una supercazzola per rendere astratto un Dio che invece, nelle credenze dei bigotti, è antropomorfo, ma soprattutto non risolve un cazzo, perché quel Dio/Bene è assente dove c’è il Male.

Neanche con questa teodicea i credenti riescono a svegliarsi dall’incubo filosofico della sofferenza innocente.

Choam Goldberg


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