Intelligenza, cultura, bigottismo: insieme

Com’è possibile? Eppure è possibile. Per tre motivi.


L’autorevole docente di chimica all’università, con molte decine di pubblicazioni e incarichi prestigiosi in comitati scientifici, ma aderente a Comunione e Liberazione. La mediatrice culturale con una laurea in linguistica, una in antropologia e un dottorato in sociologia, fluente in cinque lingue, ma musulmana osservante. Il dirigente di una grande multinazionale, con un dottorato in economia e molte migliaia di dipendenti sparsi per il mondo, ma ebreo ortodosso.

La docente cattolica è ottusamente contraria al divorzio, all’aborto e all’eutanasia, fedele al Magistero della Chiesa cattolica. La mediatrice musulmana indossa l’hijab e lo impone alle figlie, come prescritto dalla tradizione coranica. Il dirigente ebreo rispetta e costringe la famiglia a rispettare con scrupolo la proibizione delle 39 melachot durante lo shabbat.

Non sono coglioni. Non sono ignoranti. Eppure sono bigotti. Applicano con attenzione la razionalità in ogni scelta professionale, tuttavia la ignorano del tutto quando si tratta della fede religiosa. Com’è possibile? (Per inciso, sono casi reali: ho conosciuto di persona tutti e tre i soggetti. Ed è probabile che pure tu conosca qualcuno del genere.)

Io lo dico sempre: per aver fede nel Dio abramitico bisogna essere o stupidi o ignoranti o privi di spirito critico. Poi però incontro ‘sta gente e mi chiedo appunto: com’è possibile? Invece è possibile. Per tre motivi.

Anzitutto dell’intelligenza non esiste una definizione scientifica condivisa. In questi casi che si fa?

L’intelligenza è un complesso di facoltà psichiche e mentali che, mediante processi cognitivi (come l’apprendimento, la riflessione e la comprensione), consentono di capire le cose e i concetti e di organizzare conseguentemente il proprio comportamento sia nel campo delle idee sia nel campo dell’attività pratica per risolvere un problema e raggiungere un obiettivo.
Wikipedia

Non è un oracolo infallibile, ma Wikipedia è un buon punto di partenza per cominciare a riflettere. E vedi? «(…) per risolvere un problema e raggiungere un obiettivo». Però ci sono problemi e problemi, obiettivi e obiettivi. Dunque una persona può essere un genio in un determinato settore e nel contempo un coglione in un altro. Io sono bravino in matematica: mai avuto difficoltà nel risolvere integrali anche un po’ stronzi. D’altronde non darmi da sistemare la catena di una bicicletta, perché la mia intelligenza manuale è quella di un geranio. Forse – forse, eh!… ché mica lo so – Maradona era un minus habens in ogni attività intellettuale sofisticata ma, di fronte al problema di ficcare il pallone nella porta avversaria, come lui solo Pelé e nessun altro mai. Quindi non esiste una sola «intelligenza», bensì molte «intelligenze» differenti: un gigante dell’arte adorato dalla critica e dal pubblico può essere un inetto assoluto nelle relazioni umane, con una vita affettiva devastata.

Spesso purtroppo si dimentica questa compartimentazione dell’intelligenza e, a causa dell’effetto alone, l’autorevolezza e il prestigio di una persona in un settore vengono estesi a qualsiasi altro ambito. Succede soprattutto quando si cerca di far valere il principio di autorità: siccome Antonino Zichichi è una grande fisico – ah, sì? – ed è pure cattolico, allora il cattolicesimo è una scelta intellettuale dignitosa e meritevole di considerazione. Il grande genio Zichichi non può mica essere così scemo da credere alle cazzate, no? Dimenticando che, al di fuori della fisica, per esempio sulla religione, la politica internazionale, la storia della filosofia islamica e la cura dei bonsai, l’opinione di Zichichi vale quanto quella di mio cugino David, venditore ambulante di scarpe nei mercati della provincia. E senza dubbio l’opinione di David sulla scarpe sopravanza di gran lunga quella di Zichichi. Beninteso vale anche dal nostro punto di vista, quando gli atei provano – c’è chi lo fa, purtroppo – a sfruttare il principio di autorità: Stephen Hawking era un genio della fisica teorica, nondimeno il suo ateismo non dimostra un cazzo sull’esistenza o inesistenza di Dio.

Poi c’è il lavaggio del cervello fin dall’infanzia. «Dateceli da piccoli e saranno nostri per sempre» è una frase attribuita a Joseph de Maistre, reazionario e bigotto come pochi altri. Che sia davvero sua non importa: di fatto descrive alla perfezione l’abuso intellettuale dell’indottrinamento cattolico infantile. Cattolico ma non solo: fin dalla notte dei tempi ogni religione si trasmette da una generazione all’altra attraverso l’educazione e l’istruzione. Genitori bigotti producono figli bigotti. Alcuni, crescendo, si emancipano. Altri, a prescindere dalle loro capacità cognitive e dalla loro educazione, non ci riescono e a quella fede assurda rimangono attaccati fino all’ultimo dei loro giorni. Perfino se intraprendono una carriera scientifica e acquisiscono il pensiero critico necessario a studiare la Natura in modo razionale, poi lo applicano a tutto tranne al nucleo delle credenze assimilate durante l’infanzia, quando il pensiero critico nemmeno sapevano che cosa fosse. Così durante la settimana, fedeli al principio popperiano, cercano con il massimo rigore di falsificare teorie ed esperimenti propri e altrui, e la domenica aprono la bocca davanti al prete per ingoiare la particola nella granitica, indiscussa certezza che sia il corpo di Cristo. Dissonanza cognitiva? Ovvio. Loro però neanche se ne accorgono. Nemmanco gli viene in mente.

Infine c’è la comunità. E la comunità impone un prezzo pesante per l’apostasia. Magari non il prezzo massimo, come la persecuzione fisica nelle società islamiche o l’ostracismo familiare dei geovisti.

Più spesso la riprovazione o anche solo la minaccia della riprovazione sono sufficienti. La pecora fuori dall’ovile sarebbe una reietta e lo sa. Dentro di sé lo sa. Perciò teme il solo pensiero di uscirne e lo reprime.

Certo è stato facile per me, cresciuto in una famiglia ebrea ma laica, circonciso da neonato e a 13 anni costretto al bar mitzvah «per non dare un dispiacere ai nonni», abbandonare poco dopo la fede e non mettere mai più piede in una sinagoga se non per interesse culturale. I nonni ci rimasero male – mio padre mi chiese di non dirglielo subito e in seguito di farlo con una certa delicatezza –, ma ai miei genitori, agli altri parenti, agli amici di famiglia non fregò un cazzo delle mie idee, che in fondo erano pure le loro. Lo stesso per molti ex cristiani o ex musulmani cresciuti in famiglie di credenti tiepidi e poco osservanti. Immagina però le ripercussioni dell’apostasia per chi nasce in un ambiente familiare e/o sociale bigotto, come un movimento cristiano fanatico o una comunità islamica tradizionalista o un quartiere ebraico ortodosso, dove l’adesione alla religione, nel foro interiore e nella pratica esteriore, sono considerate scontate dai genitori, dai fratelli e dalle sorelle, dagli amici, dai conoscenti, dai vicini di casa, dagli insegnanti. La fede è come l’acqua per il pesce: ci sei dentro e nemmeno te ne accorgi. Criticarla, addirittura abbandonarla non è neppure concepibile. Quei pochi nei quali nasce il pensiero ed emerge il dubbio devono affrontare una rivoluzione interiore dolorosa. Alcuni si fermano e si impongono un’autocensura sincera: «Rifiuto anche solo di considerare, dentro di me, la possibilità che quanto mi è stato inculcato sia falso». Altri vanno fino in fondo nel proprio intimo ma non oltre e si costringono a un’autocensura esteriore e quindi ipocrita, ma comprensibile: «Vedo alla perfezione l’assurdità di questo sistema di credenze, però non mi sento di affrontare l’apostasia e perciò continuo a fingere devozione». Altri ancora, i più coraggiosi, si espongono e affrontano le conseguenze: nel migliore e più raro dei casi un’accettazione ostile da parte della comunità, nel peggiore e più frequente l’espulsione, con la necessità di ricostruirsi una vita sociale altrove.

Intelligenza a compartimenti, indottrinamento infantile, pressione comunitaria: se trovi una persona intelligente e colta ma bigotta, capace di applicare il pensiero critico a tutto fuorché alla propria fede religiosa, di solito la cause sono queste.

Choam Goldberg


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3 pensieri su “Intelligenza, cultura, bigottismo: insieme

  1. È un tema che mi è molto caro per ragioni personali e sono arrivata a conclusioni leggermente diverse. L’utilizzo del pensiero critico è un metodo, non una “caratteristica”; non credo che si possa paragonare alla predisposizione ad arti manuali o alla relazione (e anche questi sono ambiti in cui, seppur poco predisposti, è possibile almeno in parte migliorare).
    Penso che, una volta interiorizzato il metodo (dato di fatto indubitabile in chi si occupa di scienza), la persona scelga di non usarlo. scientemente.
    Scotomizzare il metodo che si usa quotidianamente è possibile, molto semplicemente, in base alla scala di valori che si utilizza: ci sono persone per le quali coerenza e onestà intellettuale sono imprescindibili e persone che sono assolutamente disposte a trascurarle (in parte per le motivazioni che descrivi nella seconda parte dell’ articolo ma solo in parte). Dipende dal proprio schema valoriale, dipenda da su cosa (e quanto) si è disposti a scendere a patti.
    Azzardo che un sistema valoriale che trascuri così platealmente l onesta intellettuale è un sistema valoriale debole, che ben si adatta alla palese inconsistenza morale derivante dal pensiero/dalla cultura cattolica. io credo che sia questa “scala mobile” valoriale a permettere l instaurarsi del pensiero e della dottrina cattolica, non viceversa.

  2. Io credo che come ateo non debba essere io a dimostrare l’esistenza (o l’inesistenza) di Dio ma chi ci crede senza fare uso della metafisica.

  3. Un mio conoscente, fisico e ricercatore cattolico praticante, se la cava così: “la bibbia non insegna come funziona il cielo, ma come si va in cielo”. E passa dalle pubblicazioni scientifiche ai tomi di teologia senza imbarazzo, senza vederne contraddizione. Comparti stagni che nemmeno si sfiorano.. vai a capire.

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