Fede e fiducia

Un sotterfugio per rendere decente e presentabile un atto intellettuale che invece è indegno.


La radice etimologica è la stessa: il latino «fides». Perciò sentiamo spesso questo argomento da parte dei bigotti: siccome tutte le nostre vite sono basate sulla fiducia, allora anche la fede in Dio è ragionevole. Beh, ‘stocazzo.

È vero: tutte le nostre viste sono basate sulla fiducia. Noi non verifichiamo tutto. Ci fidiamo degli altri esseri umani. Quando mangio al ristorante, non chiedo un’analisi biochimica del cibo prima di assaggiarlo: mi fido del fatto che il cuoco abbia conservato e cucinato gli ingredienti rispettando tutte le regole igieniche. Quando faccio cambiare le gomme dell’auto, dopo non controllo i bulloni: mi fido del fatto che il gommista li abbia stretti come si deve. Se mi rivolgo al medico, non scrivo prima alla sua università o all’Ordine per verificare che i diplomi e i certificati appesi nella sala di attesa siano genuini: mi fido del fatto che si sia laureato, che abbia frequentato tutte le specializzazioni, che abbia superato l’esame di Stato. Dietro quasi ogni atto della nostra vita c’è la fiducia, nella stragrande maggioranza dei casi nemmeno consapevole.

Questa fiducia è razionale. Lo Stato e le istituzioni garantiscono che, se il cuoco o il gommista o il medico imbrogliassero, sarebbero scoperti e sanzionati. Inoltre nutro sufficiente fiducia nella coscienza delle persone da attribuire loro il massimo scrupolo nel rispetto delle regole. Poi – lo so anch’io – esistono i furfanti. Ma sono abbastanza rari da garantire la ragionevolezza della mia fiducia generalizzata. D’altronde controllare tutto tutto tutto non si può, dunque tocca farsene una ragione. Famo a fidasse.

La fede è un’altra cosa. La fede non è semplice fiducia. La fede è la credenza che qualcosa sia vero senza prove o con prove ridicole e irragionevoli, anzi spesso contro le prove del contrario.

Prendiamo la resurrezione di Cristo: i cristiani credono che 2000 anni fa un tizio sia stato ucciso e in seguito sia risorto. Ora, la resurrezione di un morto è impossibile per quanto ci dimostra la scienza. Se fosse vero, sarebbe un evento straordinario. Ed eventi straordinari, per essere considerati veri, esigono prove straordinarie. Tuttavia in questo caso le sole prove sono i resoconti in antichi libri, scritti dai seguaci di Cristo decenni dopo l’evento, in un’epoca nella quale la credenza nei fenomeni soprannaturali era comune. Libri che cadono in numerose contraddizioni fra loro e che sono stati manipolati per secoli con intenti apologetici. Superfluo dire che questa roba non può in alcun modo essere considerata una «prova» della resurrezione di Cristo. Del resto non c’è un solo reperto archeologico né una sola fonte indipendente coeva. Nondimeno i cristiani ci credono: Cristo è risorto.

Bada: ci credono. Non lo sanno. Si sa qualcosa che è argomentato, documentato, provato al meglio delle conoscenze razionali. Per esempio, io non credo che la Terra ruoti intorno al Sole: io so che la Terra ruota intorno al Sole. Lo so perché conosco le migliori osservazioni eseguite con i migliori strumenti disponibili. Qualcuno potrebbe obiettare: «Tu ti fidi di chi ti riferisce di aver compiuto quelle osservazioni». Certo: mi fido come mi fido del cuoco, del gommista e del medico. È ragionevole. So che potrei controllare io stesso, se avessi tempo, voglia, competenze. Non solo: la rotazione della Terra intorno al Sole è coerente con un quadro generale di conoscenze scientifiche acquisite. (Per inciso, non è vero che la Terra ruota intorno al Sole: il Sole e la Terra ruotano intorno al baricentro comune. Anzi seguono un moto complicato nel quale vanno considerati tutti gli altri pianeti. Ma sono sottigliezze. Che peraltro mostrano come la scienza sia, a differenza della fede, un processo per acquisire una conoscenza che cambia, progredisce e si perfeziona nel tempo. Fine dell’inciso.)

La fede nella resurrezione di Cristo invece è la credenza che quell’evento sia avvenuto in un preciso momento della Storia umana, sebbene la scienza ne affermi l’impossibilità – i morti non resuscitano – e le presunte prove – antichi documenti del tutto inattendibili – siano ridicole. Non c’è un solo motivo decente per pensare che Cristo sia risorto. Ciononostante i cristiani lo ritengono un fatto storico realmente avvenuto. Una volta uno di loro mi ha scritto: «Ci credo perché nei Vangeli avverto l’inconfondibile profumo della Verità». Boh. Io leggo gli stessi Vangeli e avverto l’inconfondibile fetore della menzogna. Di più: la posso anche dimostrare, la menzogna.

Eppure ci credono. Quando chiedo loro perché, quando mostro loro l’infondatezza e perfino l’assurdità della loro credenza, molti rispondono: «Lo sento». Eh? Che vuol dire «Lo sento»? Ma soprattutto questo «Lo sento» si può applicare alla resurrezione di Cristo?

Pure io «sento» delle cose. «Sento» moltissime cose. Per esempio, «sento» che mio marito è una persona straordinaria e meravigliosa. Ma attenzione: la mia «sensazione» non ha la pretesa di essere universale. Alessandro è davvero straordinario e meraviglioso? Se lo chiedessi a qualcuno che non lo ama come lo amo io, con ogni probabilità mi risponderebbe che Alessandro è un uomo interessante, anche affascinante, ma che definirlo straordinario e meraviglioso è un po’ eccessivo. Qualcuno potrebbe perfino trovarlo banale. Qualcun altro addirittura insignificante. Ci sta, eh. Io però lo «sento» straordinario e meraviglioso. Se qualcuno non condivide il mio giudizio, ‘sticazzi. Perché appunto è un giudizio, non una conoscenza. E ci sta che un giudizio sia fondato su una «sensazione». Allo stesso modo potrei dire che «sento» che Beethoven è superiore a Mozart o che Guccini è superiore a Ramazzotti. Altri «sentono» cose diverse. Va bene così.

La conoscenza è un’altra cosa. La conoscenza riguarda i fatti, gli eventi del mondo, che magari non saranno oggettivi ma che almeno possiamo considerare soggettivi. Perciò come si può affermare che si «sente» che Cristo è risorto? La resurrezione di Cristo – ammesso che sia avvenuta – è un fatto storico e, come tale, deve avere a suo sostegno degli argomenti razionali: fonti e documenti affidabili. Se gli argomenti mancano, sull’evento il giudizio va anzitutto sospeso. Se poi l’evento, come in questo caso, è in manifesta contraddizione con ogni conoscenza scientifica, allora va trattato alla stregua di un mito emerso per ragioni socioantropologiche. Quindi, finché non mi verranno presentate prove serie a favore, devo concludere che Gesù Cristo non è risorto. Devo concluderlo razionalmente, con il pensiero e non con le «sensazioni».

Infatti dire «Lo sento» per la resurrezione di Cristo non ha alcun senso. È un po’ come se io dicessi che «sento» che il 12 ottobre del 1492 gli equipaggi della Nina, della Pinta e della Santa Maria avvistarono le coste di un’isola che battezzarono San Salvador o che «sento» che il 20 giugno 1789 i rappresentanti del Terzo Stato giurarono nella sala della pallacorda o che «sento» che Adolf Hitler si è suicidato a Berlino il 30 aprile 1945. Non sono fatti che io «sento»: sono fatti che io so. Eventi storici, documentati e comprovati da fonti e testimonianze attendibili.

In realtà dire «Lo sento» per la resurrezione di Cristo significa dire «Ci credo». E ci credono comunque. Ci credono senza prove razionali. Ci credono benché sia assurdo. Ci credono e basta.

Questa è la fede. E no, non è fiducia. La fiducia è un’altra cosa. Invocare la fiducia per giustificare la fede è solo un sotterfugio per rendere decente e presentabile un atto intellettuale – la credenza senza prove, anzi contro le prove – che invece è indegno.

Choam Goldberg


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2 pensieri su “Fede e fiducia

  1. Sono agnostico, non credo nella resurrezione e non do credito alle varie religioni ma solo all’ateismo, agnosticismo e deismo. Il resto è racconto. Volevo solo fare un’osservazione: la scienza non afferma l’impossibilità di risorgere. Tecnicamente, non essendoci nessun fatto documentato, non si è mai espressa a riguardo. Non potrebbe esprimersi. Semplicemente non è qualcosa su cui la scienza si può esprimere perché unico (anzi nullo) e non riproducibile.

  2. La sociologia (Mutti 1998a, 42) definisce la fiducia come: «(i) un’aspettativa di esperienze con valenza positiva per l’attore, (ii) maturata sotto condizioni di incertezza, ma (iii) in presenza di un carico cognitivo e/o emotivo tale da permettere di superare la mera soglia di speranza». Secondo me le prime due clausole sono soddisfatte intuitivamente dalla fede e ci si deve concentrare sulla terza: è realmente soddisfatta dalla fede? Tuttavia, la mia critica – spero costruttiva – è un’altra: l’articolo mi sembra presupponga che la fiducia sia tale solo se supera alcune condizioni epistemiche, tipo che ci siano delle prove a sostegno di quell’atto di fiducia. Questo però cozza con la definizione sociologica di fiducia, che non richiede questa condizione. Infatti, uno può benissimo mal riporre la propria fiducia in qualcuno, e la fede sembra proprio un caso di fiducia mal riposta. Quindi la mia critica non è nella conclusione, ma nelle ragioni tramite cui si arriva alla conclusione. Secondo me esiste un argomento molto più forte a sostegno della distinzione fra fede e fiducia. L’argomento è il seguente:
    Ammettiamo per un attimo, senza concederlo, che la fede sia un caso particolare di fiducia. Si può avere fiducia in una persona perché è sempre stata sincera, oppure si può avere fiducia nel proprio cane perché, da quando lo abbiamo addestrato, ha sempre ubbidito ai nostri comandi, e così via. La fede, allora, dovrebbe essere un atteggiamento di questo tipo. C’è solo un problema: che in tutti i casi in cui una persona ripone la propria fiducia in qualcuno, la ripone in qualcuno di cui almeno sa che esiste: il cane, il fratello, la madre, il politico, ecc. Nel caso della fede, ciò non accade. Il religioso non sa se Dio esiste. Il religioso crede che Dio esista perché ha fede. Tradotto: Il religioso ha fiducia nell’esistenza di Dio perché ha fiducia nell’esistenza di Dio. Allora non è fiducia. La fiducia può essere sì mal riposta, ma non si dà il caso che si autodetermini. Non si può avere fiducia in un politico perché si ha fiducia in quel politico. Dunque la fede non è fiducia. La fede è un atteggiamento a sé stante che vìola le leggi stesse del pensiero (come riconobbe anche Niccolò Cusano).

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