Non quelle cristiane, ovvio. Ché ciascuno si sceglie le proprie. E le nostre sono lì e allora.
«Non v’è esercizio intellettuale che non sia finalmente inutile. Una dottrina filosofica è al principio una descrizione verosimile dell’universo; passano gli anni, ed è un semplice capitolo – quando non un paragrafo o un nome – della storia della filosofia. (…) La gloria è una forma d’incomprensione, forse la peggiore.»
– Jorge Luis Borges, «Pierre Menard, autore del “Chisciotte”»
Ho molto apprezzato le «Sette brevi lezioni di fisica». Molto. La settima da sola merita il prezzo di copertina. Ma, da fisico teorico, non posso dire che mi abbiano insegnato qualcosa che non sapessi. «Che cos’è la scienza», invece…
…invece l’ho trovato istruttivo: è il minimo – ma proprio il minimo – che se ne possa dire. Istruttivo se ne sai di scienza, perché questo saggio ti racconta molta filosofia. Ma istruttivo anche se di filosofia ne sai già, perché ti racconta molta scienza. E filosofia e scienza te le racconta bene: in modo chiaro e lucido ma pure coinvolgente. Di più: in modo appassionato. Infatti da queste pagine emerge la passione di Rovelli sia per la filosofia sia per la scienza. Di più: l’amore.
A malapena te lo ricordi dal corso di filosofia del liceo: ci si passa sopra veloci, subito dopo Talete e subito prima di Anassimene. Perciò oggi senti «Anassimandro» e nel migliore dei casi ti viene in mente l’apeiron. E nient’altro. Che poi è quella roba strana che ti chiedi: perché? Che senso ha? Già, Talete diceva che «tutto è fatto di acqua», Anassimene che «tutto è fatto di aria» e Anassimandro, lì in mezzo, che «tutto è fatto di apeiron». (E no, non hanno detto proprio così, ma solo questo ti ricordi.) Apeiron? Che d’è? Un principio universale confuso e non meglio definito. Vabbe’, la classica idea ingenua da presocratico sprovveduto. Pensiero primitivo e poco sofisticato. Quindi via veloci, verso Platone e Aristotele: veri, grandi maestri ancora attuali, dai quali farsi ispirare.
Il problema con il pensiero antico è che lo si giudica confrontandolo con quello moderno. E ti vien da ridere: l’acqua, l’aria, l’apeiron… bah. Poveracci, i presocratici. Ingenui. Grossolani. Primitivi.
Invece no. Saranno idee ingenue considerate adesso, ma vanno inserite nel loro contesto culturale. Allora cambia tutto. Allora Anassimandro, l’insignificante Anassimandro, il negletto Anassimandro, il buffo Anassimandro, l’ingenuo Anassimandro diventa un gigante del suo tempo. Un gigante che a noi sembra un nano solo perché di lui ci è rimasto poco o nulla scritto da lui e qualcosina riferito da altri. Proprio questo ci racconta Rovelli: quanto il pensiero di Anassimandro fosse rivoluzionario per la sua epoca e come, se ricostruito e studiato con attenzione, anticipi molte peculiarità del metodo scientifico.
Ho sempre pensato che parlare di «scienza pregalileiana» fosse un’assurdità. Be’, questo libro mi ha costretto a ricredermi. Infatti Galileo è lontano più di 2000 anni e il metodo sperimentale ancora non è stato definito, ma in Anassimandro e più in generale nella scuola milesia si trovano già la ribellione ai maestri come virtù, la critica sistematica, l’emancipazione dai miti, la spiegazione naturalistica, la convinzione dell’esistenza di leggi universali, il riconoscimento e l’accettazione dell’ignoranza e la fiducia nella possibilità di diminuirla, l’ipotesi dell’esistenza di entità teoriche postulate per spiegare i fenomeni osservabili. È tutto lì, nel pensiero di Anassimandro: nel modello dell’universo e nelle spiegazioni dei fenomeni meteorologici e della causa dei terremoti e perfino dell’evoluzione naturale. Anche quando quel modello e quelle spiegazioni sono sbagliati, perché è il metodo che conta.
«La vera scoperta non è da dove viene l’acqua della pioggia, ma che le nostre idee possono essere sbagliate, e lo sono assai spesso.»
Rovelli però non si ferma alla (ri)scoperta di Anassimandro, ma estende e sviluppa le proprie riflessioni sulla scienza e sul suo ruolo nella società contemporanea, attaccata su due fronti. Da un lato c’è il relativismo culturale, per il quale tutto è interpretazione, tutto equivale a tutto, non esistono né vero né falso e ogni idea è dignitosa perché giustificabile dal suo contesto culturale. Dall’altro lato c’è l’assolutismo della Tradizione e della fede religiosa, che trasmettono Verità indubitabili e indiscutibili, Verità vere a prescindere, al di sopra di ogni critica e di ogni revisione. Presa nel mezzo, oggi la scienza non gode di buona fama.
«Il dilagante antiscientismo contemporaneo attacca un’immagine della scienza fatta di certezze, di arroganza, oppure di pura quantità o di freddo tecnicismo. È curioso: poche attività intellettuali umane come la scienza sono intrinsecamente coscienti dei limiti della conoscenza e al tempo stesso sono più brucianti di passione visionaria.»
E invece…
«La scienza è l’avventura umana che consiste nell’esplorare i modi di pensare il mondo, pronti a sovvertire qualunque certezza abbiamo avuto fin qui: è una fra le più belle delle avventure umane.»
Quest’avventura, questa via media e razionale fra il relativismo postmoderno e l’assolutismo religioso, questo metodo che non ci dice con certezza che cosa è vero ma ci dimostra che cosa è falso, va ben oltre la banale descrizione e l’arida spiegazione dei fatti naturali. E diventa fonte di stupore, ammirazione, emozione. Addirittura fondamento possibile di un’etica.
«Non c’è bisogno di un dio per percepire la sacralità della vita e del mondo. Non abbiamo bisogno di garanti esterni per accorgerci che abbiamo valori e possiamo arrivare fino a morire per difenderli. Se scopriamo che il motivo della nostra generosità, del nostro amore per gli altri, lo si può trovare nelle pieghe dell’evoluzione della nostra specie, non per questo ameremo meno nostri figli o i nostri simili. Se la bellezza e il mistero delle cose ci lasciano senza fiato, resteremo senza fiato, emozionati e in silenzio.»
Poche cose mi urtano quanto sentirmi dire che «anche le tue radici sono giudaico-cristiane». Ché le radici – l’ho detto tante volte – ciascuno se le sceglie. Le mie sono (anche) lì e allora: sulle coste dell’Egeo nel VI secolo a.C., quando si sviluppò un fenomeno culturale mai visto in alcuna altra civiltà fino a quel momento. Da lì e da allora derivano la filosofia, la scienza, la democrazia. Da lì e da allora ha iniziato a crescere la razionalità. In 2600 anni ha sofferto parecchio, soprattutto a causa della iattura della diffusione mondiale dei monoteismi abramitici. Ma la cultura umana ha cominciato a emanciparsi quando ha saputo riscoprire, valorizzare, annaffiare, rivitalizzare e far fiorire i semi che i Milesi avevano piantato.
E adesso vado a leggermi «Helgoland», che è uscito da poco e promette bene.
C. Rovelli, «Che cos’è la scienza. La rivoluzione di Anassimandro», Mondadori
(Foto: Lisa McCarty)
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