Pensieri, parole, opere e omissioni.
Choam Goldberg nasce da una coppia di insegnanti (lettere lei, matematica lui) l’11 settembre 1973, pressappoco nelle stesse ore in cui muore Salvador Allende. Grazie all’influsso genitoriale, Choam cresce afflitto dal pacchetto completo: complessi di inferiorità, ansia da prestazione, sindromi di Clance-Imes – quando pensa a sé stesso – e nel contempo anche di Dunning-Kruger – quando osserva gli altri. Se ne libera (in parte) in età adulta, dopo soli 18 anni di psicoterapia.
Fin dall’adolescenza, Choam scopre in sé una bizzarra e sconcertante tensione verso l’assoluto. Perciò, giunto alla soglia dell’università, è indeciso fra la fisica e la filosofia. Opta per la prima, ma avrebbe sbagliato in ogni caso, ché la certezza esiste solo nella matematica. Al termine degli studi non diventa uno scienziato professionista perché si accorge di essere troppo dispersivo nei propri interessi. Nondimeno la laurea gli basta per acquisire un’infarinatura scientifica e filosofica, della quale mena gran vanto.
Siccome gode nell’usare le parole almeno quanto si diverte nel giocare coi numeri e poiché la scienza preferisce raccontarla piuttosto che farla, per guadagnarsi la pagnotta Choam si orienta verso la comunicazione e in particolare verso la divulgazione scientifica. Dopo 17 anni si stufa e si trasferisce con armi e bagagli nel più affascinante mondo dell’approfondimento culturale, sociale, politico. Finché non si stanca pure di quello, come sempre gli accade quando si occupa di qualcosa per troppo tempo. Ormai raggiunte la mezza età e la relativa crisi esistenziale, avendo accumulato 25 anni di (poco) onorata professione fra articoli, comunicati stampa e servizi radiotelevisivi, realizza che i suoi molti lavori da pennivendolo sono stati di solito poco utili, spesso proprio inutili e talvolta perfino dannosi. Ogni volta costretto a interagire con molti spregevoli esemplari di Homo sapiens, sia fra i suoi datori di lavoro sia fra i suoi lettori e ascoltatori, ne ha ricavato un’inguaribile misantropia. E la convinzione che il giornalismo sia un mestiere disutile nel migliore dei casi e pernicioso nel peggiore.
Oggi Choam conduce vita ritirata ai confini della Mitteleuropa, in un posto in culo all’universo, con Alessandro, al quale è legato da un’unione registrata, e la loro figlia, Sofia. Inoltre gode dell’invidiabile privilegio di non avere né un lavoro fisso né responsabilità professionali. Di conseguenza riempie la propria esistenza solo con quel cazzo che gli pare, ossia la lettura di saggi, romanzi e fumetti, la visione di film e serie televisive, la scrittura di articoli e libri. Suo unico hobby è la cucina, grazie alla quale riesce a nutrirsi in modo compatibile con le sue numerose intolleranze alimentari, che peraltro gli rendono penosa e complicata ogni occasione in cui è costretto a mangiare fuori casa. I risultati delle sperimentazioni gastronomiche di Choam sono commestibili e di quando in quando perfino decenti, a detta di Alessandro e Sofia.
Razionalista estremo, Choam rifiuta di credere e preferisce pensare. Dunque non compie atti di fede, fatte eccezioni per l’esistenza di una realtà ordinata, regolare e prevedibile esterna alla sua mente e per il rasoio di Occam. Tuttavia sulla prima nutre qualche dubbio, affascinato com’è dall’opzione solipsista.
Ateo, comunista, giudeo e frocio, si duole di non essere anche negro e non poter così rappresentare l’abominio perfetto agli occhi dei fascioleghisti. Si consola pensando che, da qualche parte nel multiverso quantistico, deve esistere pure un Choam Goldberg falascià. Comunque in questo universo Choam considera le peggiori sciagure dell’umanità, in ordine di importanza decrescente, i monoteismi abramitici, l’ur-fascismo, il suffragio universale e le «d» eufoniche a cazzo di cane.
Choam ha avuto un breve flirt con lo stoicismo, ma ben presto ha compreso come esso sia una filosofia troppo benevola verso la specie umana, che egli giudica composta in grande maggioranza da due insiemi: gli idioti e gli ignoranti, con una popolosa intersezione. Questa massa è di fatto irredimibile e perciò immeritevole di qualsiasi tentativo di recupero alla razionalità.
Nichilista disfattista per principio e per esperienza esistenziale, di recente Choam ha abbandonato la propria intransigenza e iniziato a concepire un senso nel proprio agire che vada al di là dell’onanismo intellettuale. Il suo nichilismo rimane comunque del tutto relativo a lui medesimo, senza alcuna pretesa di generalizzazione ad altri.
Sicché, contemplata l’immensa vastità del cazzo che gliene frega e quasi raggiunta l’atarassìa, oggi Choam si diletta con l’antica e nobile arte di demolire le credenze dei beoti e degli insipienti, con lo scopo precipuo di trarne sollazzo lui stesso e in seconda battuta di condividerlo con i pochi appartenenti all’insieme complemento dei due insiemi di maggioranza. Se poi il perculamento delle superstizioni sortisce anche l’effetto di far ragionare qualcuno, tanto meglio. Ma non è quello lo scopo.