Una mia domanda ha suscitato malumore e incomprensione. Come se io fossi un paladino del feto. Be’, non lo sono affatto. Anzi. Ma non sottovaluto la filosofia.
chiarabxl e Fux rispondono in modo circostanziato al mio ultimo articolo.
Scrive chiarabxl:
Il fatto è questo: il diritto all’autodeterminazione non viene mai meno. Esiste un limite temporale per l’accesso all’aborto semplicemente perché si assume che una donna posta di fronte alla decisione se portare a termine o meno una gravidanza sia in grado di prendere tale decisione in un certo lasso di tempo, passato il quale si considera che abbia accettato di ospitare l’occupante del suo utero fino alla nascita (mi verrebbe quasi da chiamarlo “diritto di recesso”).
Invece no: secondo la Legge 194 il diritto all’autodeterminazione viene meno eccome. Dopo 90 giorni una donna non ha più il diritto di abortire. O, meglio, ce l’ha, ma solo adducendo e dimostrando validi motivi di salute: un grave pericolo per la sua stessa vita oppure anomalie o malformazioni nel nascituro. Questi e nessun altro. Così dice l’articolo 6 della Legge 194. Alla faccia dell’autodeterminazione: io mi autodetermino quando agisco come mi garba, non quando posso farlo solo sotto certe condizioni e dovendo dimostrare le mie ragioni a un estraneo. La libertà non ha limiti. Se ha limiti, non è libertà.
Insomma, il diritto all’aborto è un diritto a tempo. Scaduto il termine, stop: il diritto scompare. Ma perché proprio quel termine? Perché 90 giorni e non 60? O 120? O 240? Ecco la spiegazione di chiarabxl:
Se applicata come dovrebbe (un grosso “se”, lo so), la 194 dà a una donna tutto il tempo necessario per prendere una decisione ragionata. Se dovesse avere bisogno di interrompere la gravidanza più tardi, sarebbe a causa di problemi gravi e non per sport. Parlare di “battersi” per l’aborto “anche il giorno prima del parto” è una formulazione incredibilmente irrispettosa dell’intelligenza delle donne: si vuole davvero sostenere che l’aborto debba essere accessibile per l’intera durata della gravidanza perché si pensa sul serio che a una donna ne possa venire voglia a caso “anche il giorno prima del parto”? Bitch, please.
Ed ecco la spiegazione di Fux:
(…) gli studi scientifici mostrano che la probabilità di complicazioni di un aborto aumenta più si ritarda la procedura. Mettendo un limite temporale ragionevole si induce chi non vuole portare avanti la gravidanza ad abortire il prima possibile, a vantaggio della salute della donna, senza negare l’autodeterminazione, purché si lasci un periodo di tempo sufficiente per decidere. Inoltre, leggi come la 194 sono sempre frutto di qualche compromesso, perché ci saranno sempre posizioni diverse sul tema, e un limite temporale è frutto di questo compromesso, (…)
Spiacente, ma non mi convincono. E non perché io sia irrispettoso dell’intelligenza delle donne. Al contrario: io considero ogni loro possibile necessità, non solo quelle mediche. Infatti per quale ragione una donna non dovrebbe aver bisogno di più di 90 giorni? Magari la sua condizione emotiva, affettiva, economica o sociale cambia, e dopo 100 o 200 giorni la donna non vuole più diventare madre. Lei è sanissima, il feto pure, ma lei non se la sente. Nondimeno la Legge 194 esige che prosegua. Perché?
È presto detto: la 194 impone quel termine perché il legislatore ha ritenuto che dopo 90 giorni il feto cambi stato. Che diventi qualcos’altro: non più un ammasso di cellule, ma una persona i cui diritti sono sufficienti a prevalere su quelli della madre. Tanto da proibire a quest’ultima di abortire.
Ora, attenzione, ché non voglio essere frainteso: non sto affermando che è giusto né che io sono d’accordo. Difatti non è giusto e io non sono d’accordo. Però quello è l’intento della 194: siccome il feto viene considerato una persona, dopo 90 giorni il suo diritto alla vita ha la precedenza sul diritto della madre all’autodeterminazione. Può non piacere, ma così è.
Posso immaginare che a chiarabxl l’idea non piaccia. Infatti:
(…) il feto non assume mai la condizione di persona; quel passaggio si verifica solo con la nascita.
Sulla stessa linea anche Fux:
(…) è comunque bene precisare che non ritengo sensato considerare un feto, e ancora meno un embrione, una persona.
È una posizione legittima. Dico di più: è una posizione che condivido. Perciò, come Fux, ritengo che il limite di 90 giorni sia ingiustificato e leda il diritto delle donne all’autodeterminazione.
Tuttavia questa posizione solleva un’altra profonda questione: perché la transizione della nascita trasforma un feto in persona? A causa dell’uscita fisica dal corpo materno? Oppure della rottura del cordone ombelicale? Allora è l’indipendenza a rendere persone? Ma quale indipendenza? Solo quella fisiologica? O anche quella esistenziale? Un neonato è davvero indipendente? Se lo abbandoni in una radura se la cava da solo?
In conclusione, che cos’è una persona? Ovvero: da quale momento in poi e perché un essere umano deve godere del diritto prioritario alla vita, tanto da prevalere sul diritto alla libertà di altri esseri umani?
Io ho qualche risposta provvisoria. Però mi interessa soprattutto porre delle domande. Intanto ci penso e vorrei spostare la riflessione su questo piano.
Sono domande serie e profonde, non «un semplice problema filosofico». In funzione delle risposte che daremo, determineremo i doveri, i diritti, le libertà. In fondo, chi siamo noi. Hai detto niente.
Choam Goldberg
(Foto: Tbsdy lives)
Lo sviluppo della polemica
La prima risposta di chiarabxl
La seconda risposta di chiarabxl
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