Visse isolato fra il Sei e il Settecento in un paesino delle Ardenne. E nessuno ricorderebbe più Jean Meslier, se la sua «Memoria» postuma non fosse fra i fondamenti dell’ateismo moderno.
Immaginalo mentre consacra il corpo e il sangue di Cristo. Immaginalo mentre celebra battesimi, matrimoni e funerali. Immaginalo mentre ascolta le confessioni dei parrocchiani, mentre li assolve grazie al potere conferitogli da Dio. Immagina i suoi pensieri in quei momenti: «Sono tutte stronzate». Per 40 anni. Una vita di stronzate, ma riscattata dal suo testamento: la «Memoria».
Così vivevano le loro oscure esistenze fra cerimonie e confessioni, magari con qualche peccatuccio carnale, fino a perdersi nell’oblìo dopo la morte. Tutti, tranne Jean.
Jean Meslier non sarebbe mai passato alla Storia. A chi sarebbe importato del curato di un paesino nelle Ardenne? Una vita insignificante come quella di migliaia di preti di campagna nell’Europa alla vigilia dei Lumi. Gente semplice, con poca cultura. E quella poca assorbita in seminario: zero scienze, un’infarinatura di filosofia, un po’ di teologia, tanta morale, tanto catechismo, i Padri della Chiesa, Agostino, Tommaso. Sottoposti alla stretta sorveglianza dei vescovi, nutrivano una fede protetta dall’isolamento. Poveri di argomenti, se fossero stati esposti alle prime idee illuministe sarebbero stati inermi. Così vivevano le loro oscure esistenze fra cerimonie e confessioni, magari con qualche peccatuccio carnale, fino a perdersi nell’oblìo dopo la morte. Tutti, tranne Jean.
Un parroco insignificante
Jean Meslier nasce a Mazerny, nelle Ardenne, il 15 giugno 1664. È figlio di un mercante di stoffe e fin da ragazzino viene avviato alla carriera ecclesiastica, sebbene sia privo non solo di passione ma perfino di vocazione. Però quello i genitori vogliono da lui e quello lui fa. Non è stupido. Capisce quanto assurda sia l’educazione che riceve, ma anche come quella strada sia un modo per guadagnarsi la pagnotta:
Durante l’infanzia mi sono lasciato indirizzare verso la carriera ecclesiastica per compiacere i miei genitori, che la consideravano una condizione più semplice, piacevole e onorevole di fronte al mondo rispetto a quella degli uomini comuni. Tuttavia posso dire in verità che mai la prospettiva di un guadagno materiale, né delle ricche rendite di questo ministero mi ha mai indotto ad amare l’esercizio di una professione così piena di errori e di imbrogli.
Con la vicina parrocchia di Balaives, l’incarico offre a Meslier una discreta rendita e una vita agiata. Gli si spiana così di fronte un’esistenza senza grandi soddisfazioni ma pure senza grandi pretese.
Jean frequenta il seminario di Reims senza infamia e senza lode, cercando soprattutto la solitudine. Il 18 dicembre 1688 viene ordinato prete e il 7 gennaio 1689 diventa curato a Étrepigny: un paesotto di 165 anime, quasi tutti contadini e piccoli commercianti. Con la vicina parrocchia di Balaives, l’incarico offre a Meslier una discreta rendita e una vita agiata. Gli si spiana così di fronte un’esistenza senza grandi soddisfazioni ma pure senza grandi pretese.
Meslier si barcamena fra i suoi compiti. Vive con poco e i parrocchiani ne apprezzano e ricordano la generosità. Riesce pure a risparmiare un discreto gruzzolo. Quasi mai fa parlare di sé. Nei quattro decenni della sua vita da curato si registrano soltanto tre episodi bizzarri. I primi due sono simili: rimproveri da parte dei suoi superiori per aver assunto una domestica molto più giovane dei 40 anni necessari. Nel 1696 il curato ha 32 anni e la ragazza 23, nel 1726 lui 62 e lei 18. In entrambe le occasioni Meslier se la cava spacciando la domestica per una sua cugina. Il terzo caso è più interessante e lascia intravedere i valori ai quali Meslier si ispira.
Antoine de Toully è il signore di Étrepigny. Come tanti esponenti della nobiltà, è una testa di cazzo: prepotente e presuntuoso, maltratta i contadini. Meslier ne denuncia le malefatte durante le funzioni religiose, non raccomanda la sua anima a Dio, non riserva i posti per lui e i suoi familiari fra i banchi della chiesa. De Toully s’incazza e si lagna con l’arcivescovo di Reims. Un altro bel soggetto: rampollo dell’alta nobiltà, François de Mailly è autoritario e arrogante. Infastidito da quel piccolo prete rompicoglioni, lo rimprovera più volte, nel 1716 visita la parrocchia e scrive un duro rapporto sul curato, nel quale lo accusa di essere ignorante, testardo e semplicione, di trascurare la chiesa e di badare soltanto ai propri interessi. Strano, però: gli arcivescovi precedenti avevano sempre giudicato con grande benevolenza il parroco di Étrepigny. Infine de Mailly impone a Meslier un mese di ritiro in seminario a Reims per punizione. Al rientro in paese il conflitto con il nobile prosegue. Si risolve solo quando Antoine de Toully muore. Il curato invita i suoi parrocchiani a pregare per la sua anima.
Macché: oscuro, modesto, schivo, Meslier non attira l’attenzione. Dopo la morte sprofonderebbe nell’oblìo, se non fosse per la sua attività notturna negli ultimi anni di vita.
Per il resto, il nulla: non ci sono altre notizie sulla vita di Jean Meslier, parroco di Étrepigny e Balaives. Men che meno un ritratto: quelli in circolazione risalgono a epoche posteriori alla sua morte. Nel 1783 il curato di Mazerny, non lontano da lì, cercherà di ricostruirne la vita interrogando chi lo aveva conosciuto. Ne emergerà il ricordo di «un uomo singolare» che predica con la terza persona plurale: «i cristiani dicono… i cristiani credono…». Sarebbe stato un indizio, se qualcuno avesse sospettato. Macché: oscuro, modesto, schivo, Meslier non attira l’attenzione. Dopo la morte sarebbe sprofondato nell’oblìo, se non fosse per la sua attività notturna negli ultimi anni di vita.
La biblioteca di Meslier è ben fornita: la Bibbia, gli scritti dei Padri della Chiesa, i resoconti di Concili, e poi Tito Livio, Seneca, Tacito e pure Montaigne, La Bruyère, La Boétie, Pascal, Malebranche, Fénelon, Bayle. Di sicuro non le opere dei primi illuministi e dei libertini. Nella campagna profonda delle Ardenne, Meslier è tagliato fuori dalla vita intellettuale. Ma è intelligente e critico e ribelle. Ragiona con la propria testa, fin da ragazzino. Aderisce senza esserne consapevole allo stesso razionalismo diffuso fra i filosofi suoi contemporanei. Dunque scrive.
Fra il 1724 e il 1729 raccoglie le proprie riflessioni su Dio, la fede, il cristianesimo, la politica e il potere. Prevede il rischio di una distruzione dell’opera, così ne fa tre copie a mano.
Di notte, dopo aver svolto le sue funzioni e aver dato assistenza spirituale alle povere anime dei parrocchiani, Meslier scrive. Consapevole della contraddizione insanabile fra la filosofia razionalista che lo anima e le cazzate religiose che officia per campare, sfoga la tensione attraverso la scrittura. Fra il 1724 e il 1729 raccoglie le proprie riflessioni su Dio, la fede, il cristianesimo, la politica e il potere. Prevede il rischio di una distruzione dell’opera, così ne fa tre copie a mano.
Alla fine di giugno del 1729 Jean Meslier muore. La sua tomba non è a Étrepigny né altrove. In effetti non c’è alcuna tomba: il curato viene sepolto di nascosto, nel giardino della parrocchia o forse nel parco del castello, come un cane. Perché?
Le due lettere…
Hai immaginato Jean Meslier mentre celebra le funzioni religiose. Hai immaginato i suoi pensieri. Ora immagina la faccia dell’abate Antoine Guillotin, il nuovo parroco, quando arriva a Étrepigny, trova una busta con due lettere e le legge. Immagina dapprima lo stupore, poi lo sconcerto, poi lo scandalo.
La prima lettera è indirizzata a lui, il successore:
Ormai non ho più alcuna difficoltà nel dire la verità. (…) Non so che cosa penserete né che cosa direte e men che meno che cosa direte di me per essermi messo in testa queste idee e questa intenzione nello spirito. Forse considererete questo progetto come una dimostrazione di follia e di temerarietà…
Poi Meslier anticipa i capisaldi della propria filosofia: l’ateismo e il materialismo, tenuti nascosti per tutta la vita. Infine svela l’esistenza della sua «Memoria».
Che cosa pensare? Guillotin apre la seconda lettera, destinata ai curati della parrocchie vicine. Contiene un invito a confrontarsi con il pensiero del suo autore, a provare a demolire i suoi argomenti e, se non ci riusciranno, ad ammettere la falsità di tutte le credenze religiose. Se non ne hanno il coraggio, facciano almeno come lui: espongano il proprio pensiero ai posteri. Poi Meslier anticipa i capisaldi della propria filosofia: l’ateismo e il materialismo, tenuti nascosti per tutta la vita. Infine svela l’esistenza della sua «Memoria».
Le tre copie, composte ciascuna da 366 fogli manoscritti, sono avvolte in una carta grigia su cui campeggia una scritta:
Ho visto e riconosciuto gli errori, gli abusi, le vanità, le follie, le cattiverie degli uomini. Li odio e li detesto; non ho osato dirlo durante la mia vita, ma lo dirò almeno in punto di morte; ed è affinché si sappia che scrivo questa Memoria perché serva da testimonianza di verità per tutti coloro che la vedranno e che la leggeranno se sembrerà loro cosa buona.
Così Jean Meslier entra nella storia della filosofia.
…e la «Memoria»
Il titolo completo è, come usa all’epoca, assai lungo e contorto:
«Memoria dei pensieri e dei sentimenti di Jean Meslier, prete, curato di Étrepigny e di Balaives, su una parte degli errori e degli abusi del comportamento e del governo degli uomini, dove si vedono le dimostrazioni chiare ed evidenti della vanità e della falsità di tutte le divinità e di tutte le religioni del mondo, per essere rivolta ai suoi parrocchiani dopo la sua morte e per servire da testimonianza di verità a loro e a tutti i loro simili»
Contorto, sì, ma inequivocabile sul contenuto.
La «Memoria» si compone di 97 capitoli suddivisi in 8 parti:
- Le religioni sono solo invenzioni umane.
- La fede è una credenza cieca, fonte di errori, illusioni e imposture.
- Le presunte visioni e rivelazioni divine sono false.
- Le presunte profezie dell’Antico Testamento sono vane e false.
- La dottrina e la morale cristiane sono piene di errori.
- La religione cristiana autorizza gli abusi e la tirannia.
- La pretesa esistenza degli dei è falsa.
- L’idea della spiritualità e dell’immortalità dell’anima è falsa.
Solo che, invece di istruire i parrocchiani sulle verità della fede, il curato di Étrepigny demolisce la teologia e la moralità cristiane e al loro posto edifica un’ontologia materialista, un’etica naturalista e perfino un abbozzo di ideologia comunista.
Lo stile è colloquiale, come quello di un sermone. E, come un cattivo sermone, è prolisso, ridondante e spesso disordinato. Voltaire dirà che Meslier scrive «come un cavallo da tiro». Ma, come un sermone, la «Memoria» ci restituisce la voce dell’autore: sembra davvero di ascoltarlo dal pulpito. Solo che, invece di istruire i parrocchiani sulle verità della fede, il curato di Étrepigny demolisce la teologia e la moralità cristiane e al loro posto edifica un’ontologia materialista, un’etica naturalista e perfino un abbozzo di ideologia comunista.
Dio non esiste
Jean Meslier è di un ateismo lucido e radicale: Dio non esiste. E trova argomenti inoppugnabili.
Per cominciare, il silenzio divino: perché un Dio che desidera essere amato e adorato non si prende la briga di manifestarsi, invece di lasciarci qui a discutere e litigare su di lui? Ecco:
Il primo pensiero che si presenta anzitutto al mio spirito, a proposito di un simile essere, che si dice essere così buono, così bello, così saggio, così grande, così eccellente, così ammirevole, così perfetto e così amabile eccetera, è anzitutto che, se davvero ci fosse un essere simile, apparirebbe così chiaramente e così visibilmente ai nostri occhi che nessuno potrebbe dubitare della verità della sua esistenza. Al contrario, c’è ogni ragione per credere e dire che non esiste.
Poi se la prende con gli argomenti esposti da Fénelon nella «Dimostrazione dell’esistenza di Dio», della quale possiede una copia che lui stesso ha arricchito con ampie note. Li smonta uno per uno, compreso l’argomento ontologico.
C’è un’assoluta incompatibilità fra l’esistenza ipotetica di una divinità buona, onnipotente e onnisciente e l’esperienza universale e indiscutibile della sofferenza.
Ma soprattutto Meslier sfodera contro il Dio cristiano l’argomento definitivo, di fronte al quale ogni credente è costretto a trincerarsi dietro il mistero della fede, giacché non esiste una teodicea decente. C’è un’assoluta incompatibilità fra l’esistenza ipotetica di una divinità buona, onnipotente e onnisciente e l’esperienza universale e indiscutibile della sofferenza. Come può essere misericordioso un Dio che condanna all’inferno gli umani e al limbo i bambini non battezzati? Come può essere buono un Dio che nelle Scritture viene descritto come geloso, vendicativo, capriccioso, spietato e violento come il peggiore degli umani? Come può essere amorevole un Dio che consente lo sfruttamento del ricco sul povero, oltretutto con la complicità di quella stessa Chiesa che pretende di rappresentare proprio Dio?
Meslier percula la spiegazione con il peccato originale e ne palesa l’assurdità. Che razza di Dio è quello che, per un atto compiuto da due umani nel remoto passato, condanna all’inferno milioni di loro discendenti? E poi, per riscattare quell’antico errore, spedisce il proprio figlio sulla Terra e induce gli umani a ucciderlo, ossia a commettere un peccato assai più grave? Infatti senza crocifissione non ci sarebbe stata redenzione. Dunque Giuda e Pilato e gli ebrei furono strumenti essenziali nel progetto divino. Le domande di Meslier sono ineludibili:
Sarebbe come dire che un Dio infinitamente saggio e infinitamente buono si sarebbe sentito gravemente offeso dagli uomini e si sarebbe estremamente irritato con loro per un nonnulla, una bagattella, e che si sarebbe misericordiosamente rappacificato e riconciliato con loro attraverso il più grande di tutti i crimini? Attraverso un orribile deicidio che essi avrebbero commesso, crocifiggendo e facendo morire crudelmente e vergognosamente il suo caro e divino figlio?
Potente. Cogente. Inoppugnabile.
Dio lascia agli umani la libertà: questa è la spiegazione dei credenti. Ma quale padre consentirebbe ai propri figli di distruggere sé stessi per rispettare la loro libertà? Se lo facesse, sarebbe un mostro. Invece Dio viene adorato e considerato buono e onnipotente, benché permetta agli esseri umani di finire all’inferno.
L’oscuro e solitario curato di Étrepigny, lontano da ogni discussione e corrente filosofica, ha il coraggio di arrivare all’estrema, inevitabile conseguenza: di fronte al problema del dolore, Dio non può esistere. Ma lui, Jean Meslier, quel problema come se lo risolve?
Quello della teodicea è un problema antico, da Giobbe in poi passando per Agostino fino ad arrivare a Leibniz e al «migliore dei mondi possibili». Il terremoto di Lisbona, proposto da Voltaire come esempio per ridicolizzare Leibniz, si sarebbe scatenato 26 anni dopo la morte di Meslier. Il problema è insoluto e insolubile per ogni credente, se non al prezzo della rinuncia all’intelligenza e allo spirito critico. L’oscuro e solitario curato di Étrepigny, lontano da ogni discussione e corrente filosofica, ha il coraggio di arrivare all’estrema, inevitabile conseguenza: di fronte al problema del dolore, Dio non può esistere. Ma lui, Jean Meslier, quel problema come se lo risolve?
Solo la materia, eterna nello spazio e nel tempo
Semplice: Jean Meslier è materialista. Di un bel materialismo estremo, oltretutto: la materia è l’essere unico e necessario. Anzi, l’essere è la materia, eterna nello spazio e nel tempo. Non c’è altro. Se Dio avesse creato la materia, non potrebbe essere incorporeo e trascendente. Se Dio avesse creato il tempo, dovrebbe averlo fatto in un momento preciso, quindi nel tempo. Se Dio avesse creato lo spazio, dovrebbe averlo fatto in un luogo preciso, quindi nello spazio. Perciò la materia è eterna: esiste da sempre ed esisterà per sempre. Non c’è bisogno di immaginare una creazione.
Nella sua riflessione c’è solo ontologia. In questa ontologia la materia pensa, sente, ama, desidera, soffre, odia.
Non c’è scienza, in questa visione materialista. Meslier non sa nulla della scienza nata pochi decenni prima della sua nascita. Non ha letto né Galileo né Newton. Non può conoscere la teoria atomica, nemmeno quella ingenua degli antichi greci. Nella sua riflessione c’è solo ontologia. In questa ontologia la materia pensa, sente, ama, desidera, soffre, odia. Difatti l’anima è una conseguenza delle configurazioni della materia:
Noi non vediamo, non sentiamo e non conosciamo certamente nulla in noi che non sia materia.
Com’è ovvio, l’anima scompare dopo la morte, quando la materia cambia configurazioni. La coscienza è un’attività del cervello e svanisce con la sua decomposizione:
Tutti i nostri pensieri, tutte le nostre conoscenze, tutte le nostre percezioni, tutti i nostri desideri e tutte le nostre volontà sono modificazioni della nostra anima. Bisogna anche ammettere che essa è soggetta a molte alterazioni, che sono dei princìpi di corruzione, e di conseguenza non è affatto incorruttibile né immortale.
Insomma, il parroco di Étrepigny concepisce il male come un fatto naturale.
Come si giustifica allora il dolore nel materialismo di Jean Meslier? È presto detto: la Natura non è meravigliosa come si dice, e la sofferenza è un suo elemento strutturale e inevitabile, poiché per mancanza di spazio e di risorse i viventi sono costretti a eliminarsi a vicenda. Insomma, il parroco di Étrepigny concepisce il male come un fatto naturale. Eppure il dolore potrebbe essere ridotto o quanto meno mitigato con una distribuzione equa e razionale delle risorse. Per esempio con una forma di comunismo.
Le assurde Scritture
Sicché Jean Meslier affronta le Scritture. E lo fa con un primo, ingenuo ma fondato tentativo di critica storica.
Di fronte a questi argomenti filosofici, il credente si nasconde dietro la Rivelazione: Dio si è manifestato. In particolare, il Dio cristiano si è rivelato agli umani dapprima attraverso i profeti e poi con Gesù. Sicché Jean Meslier affronta le Scritture. E lo fa con un primo, ingenuo ma fondato tentativo di critica storica.
Meslier rileva le innumerevoli modifiche e interpolazioni introdotte nei secoli in funzione degli interessi materiali della Chiesa e del potere temporale. Segnala l’inaffidabilità dei presunti autori, la loro identità incerta, la scelta arbitraria dei testi canonici. Evidenzia come l’Antico Testamento sia pieno di favole assurde e inverosimili, di incoerenze interne insanabili, di profezie mai realizzate: e questo sarebbe un testo ispirato da una divinità? Denuncia la violenza di un Dio che dovrebbe essere misericordioso ma ordina di massacrare persone innocenti. Propone ben 40 pagine di interpretazioni demenziali degli episodi biblici fornite dai Padri della Chiesa. Ai credenti che degli episodi più sgradevoli suggeriscono una possibile lettura allegorica, mistica, spirituale, risponde che qualsiasi testo si presta a un’interpretazione analoga:
Se volessimo allo stesso modo interpretare allegoricamente e figurativamente tutti i discorsi, tutte le azioni e tutte le avventure del famoso Don Chisciotte della Mancia, ci troveremmo, volendo, una saggezza del tutto soprannaturale e divina.
Anche il Nuovo Testamento è pieno di errori, imprecisioni, contraddizioni e assurdità. Come i miracoli, per esempio. La Natura rispetta leggi rigorose, pertanto la trasformazione dell’acqua in vino, la passeggiata sull’acqua e la resurrezione dei defunti sono impossibili. Del resto i miracoli non provano nulla. Se ne trovano pure nei testi religiosi dei pagani.
Gesù, «un’infelice canaglia»
Quanto a Gesù, nessuno sconto: Jean Meslier lo definisce «arcifanatico». Ne ammette la reale esistenza nella Storia, ma lo disprezza:
(…) un uomo da nulla, che non aveva né talento, né spirito, né scienza, né senno, e che era in ogni caso disprezzato dal mondo; un pazzo, un insensato, un miserabile fanatico e un’infelice canaglia.
Gesù non è una figura alla quale ispirarsi come esempio, ma un miserabile che esalta la sofferenza e il dolore e si propone di portare la discordia fra gli umani. Intento nel quale peraltro è riuscito benissimo. Invece di liberare dal peccato e quindi dal dolore, ha ottenuto un mondo nel quale la sofferenza regna come sempre:
Gli uomini diventano ogni giorno più viziosi e cattivi e c’è un diluvio di vizio e iniquità nel mondo. Non si capisce come i cristicoli [i seguaci di Cristo, NdT] possano vantarsi di essere più sani, più saggi e più virtuosi o meglio regolati nel loro ordine e nei loro costumi di tutti gli altri popoli della Terra.
E ancora:
(…) il primo, il più bello e il più ammirevole dei suoi miracoli sarebbe stato quello di rendere tutti gli uomini virtuosi, saggi e perfetti tanto nel corpo quanto nello spirito. Il primo e il principale dei suoi miracoli sarebbe stato di impedire e di bandire interamente dal mondo tutti i vizi, tutti i peccati, tutte le ingiustizie, tutte le iniquità e tutte le malvagità.
Il sacrificio di Gesù è stato vano, anzi controproducente.
Proprio fra i cristiani abbondano persecuzioni e guerre di religione. Il sacrificio di Gesù è stato vano, anzi controproducente. D’altronde non è stato capace nemmeno di salvare sé stesso dall’agonia sulla croce. E nessuna delle sue profezie si è realizzata. Com’era? Il regno di Dio vicino? Ah ah.
La fede, quella vera. Già, già
Eh, ma c’è la fede, giusto? Nonostante tutto, bisogna aver fede. E la fede è un dono. Perciò Jean Meslier formula la domanda che noi atei ci poniamo da sempre: se la fede è un dono, perché a noi no? Chi siamo noi, i figli della serva?
Deve sapere o per lo meno immaginare quali dubbi e quali incertezze si agitino nelle menti delle pecorelle del suo gregge.
Del resto di che cosa parliamo quando parliamo di fede? Meslier dà assistenza spirituale a due generazioni di cattolici. Ha consuetudine con i peccati e le confessioni e le credenze. Deve sapere o per lo meno immaginare quali dubbi e quali incertezze si agitino nelle menti delle pecorelle del suo gregge. Infatti:
Quanto agli uomini comuni, vediamo bene dai loro costumi e dai loro comportamenti che la maggior parte fra loro non è affatto più persuasa della verità della loro religione né di ciò che essa insegna loro di quanto lo siano quelli con cui parlo, sebbene ne seguano regolarmente le pratiche. E quelli che fra il popolo hanno un po’ di spirito e di buon senso, benché ignoranti come peraltro sono nelle scienze umane, si permettono di intravedere, e perfino in qualche modo di sentire, la vanità e la falsità di quel che gli si vuol far credere in proposito, in modo che è solo con la forza, malgrado loro stessi, contro la loro intuizione, contro la loro ragione, e contro i loro sentimenti che credono o piuttosto che si sforzano di credere in quello che gli si dice.
Un illuminante spaccato della religiosità popolare sotto l’Ancien Régime. Alla faccia della fede.
Prima di Nietzsche…
Per Jean Meslier la morale cristiana è perfida e innaturale, perché magnifica la sofferenza a imitazione della Passione di Cristo. Non solo: condanna il desiderio. Ma come può Dio prima indurre il desiderio negli umani e poi condannarli perché lo provano? Che assurdità è? Ebbene, anche del desiderio il prete ateo offre una spiegazione materialista: ogni desiderio è una pulsione naturale, con il fine della sopravvivenza e della riproduzione. Non ci sono né colpa né peccato.
Così Meslier anticipa Nietzsche, che più di 150 anni dopo parlerà di «morale del servo».
Pure amare il nemico fino a offrirgli l’altra guancia è sbagliato, poiché significa rendersi complici della malvagità. Il risultato è inevitabile: i forti e i prepotenti ne approfittano. Ergo le Beatitudini evangeliche diventano uno strumento di oppressione e di tirannia, di difesa del privilegio. Così Meslier anticipa Nietzsche, che più di 150 anni dopo parlerà di «morale del servo».
…e prima dei comunisti
«Impiccheremo l’ultimo padrone con le budella dell’ultimo prete»: ricordi questo slogan? Le sue radici affondano nella «Memoria» di Jean Meslier, in una versione appena differente:
(…) che tutti i grandi della terra e che tutti i nobili fossero impiccati e strangolati con le budella dei preti.
Prima della Rivoluzione francese, di Babeuf e della Congiura degli Uguali, prima di Proudhon, Marx, Bakunin, Lenin e Kropotkin, il visionario curato di Étrepigny preconizza la fine delle sofferenze dei poveri, dei servi e dei contadini sottomessi al potere dei vescovi e dei nobili.
Meslier si occupa anche di politica. Prima della Rivoluzione francese, di Babeuf e della Congiura degli Uguali, prima di Proudhon, Marx, Bakunin, Lenin e Kropotkin, il visionario curato di Étrepigny preconizza la fine delle sofferenze dei poveri, dei servi e dei contadini sottomessi al potere dei vescovi e dei nobili. Meslier immagina la lotta di classe, la disobbedienza civile, l’obiezione fiscale, il rifiuto delle rendite feudali e delle corvée, l’abolizione della proprietà privata. Siccome il potere esiste perché i sottomessi si lasciano dominare, invoca la ribellione. Ammette perfino il tirannicidio: non per vendetta, ma per ristabilire la giustizia.
Già, la giustizia. Proprio il bisogno di giustizia motiva l’indignazione di Meslier: per diritto naturale gli umani sono uguali fra loro e ciascuno deve avere accesso al nutrimento, alla sicurezza, all’istruzione, alla libertà. L’oppressione è la prosecuzione della legge del più forte. La Chiesa benedice la tirannia e, con lo spauracchio dell’inferno, minaccia chi si ribella. D’altronde lo diceva Paolo:
Ognuno sia sottomesso a chi ha ricevuto autorità, perché non c’è autorità che non venga da Dio, e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Perciò, chi si oppone all’autorità si oppone all’ordine stabilito da Dio, e attirerà su di sé un castigo.
– Romani 13,1-2
Quindi i monarchi regnano per diritto divino e i chierici lo confermano perché conviene loro: preti, monaci, frati e suore sono parassiti della società, come i nobili e i possidenti.
Per arrivarci servirebbe una trasformazione su scala internazionale, non in un unico Paese: Meslier lo scrive due secoli prima di Trockij.
Meslier sogna una società senza proprietà privata, nella quale i mezzi di produzione e il frutto del lavoro siano messi in comune. L’unità di base sarebbe la famiglia e sopra di essa il villaggio, dove ogni persona sarebbe nutrita, protetta, educata, curata. Per arrivarci servirebbe una trasformazione su scala internazionale, non in un unico Paese: Meslier lo scrive due secoli prima di Trockij.
Gli ultimi fra gli ultimi
L’attenzione di Jean Meslier si rivolge anche agli ultimi fra gli ultimi, i più sfruttati fra i più deboli: le donne, i bambini, perfino gli animali. La loro sofferenza infinita trova un fondamento ancora una volta nel cristianesimo, in particolare nella Genesi, dove Dio impone una gerarchia alla cui sommità svetta il maschio umano, con il diritto assoluto di sottomettere, sfruttare e torturare chiunque si trovi al di sotto.
Il dolore, come l’anima, è frutto delle configurazioni della materia, perciò gli animali pensano, sentono, comunicano, soffrono, desiderano come gli umani.
Il curato di Étrepigny proclama l’unità di tutti gli esseri senzienti e nega il dualismo uomo/donna, adulto/bambino, umano/animale. Lo infastidiscono i cartesiani e la loro concezione degli animali come macchine incapaci di provare dolore. Anche gli umani sono macchine: la differenza è di grado e non di qualità. Il dolore, come l’anima, è frutto delle configurazioni della materia, perciò gli animali pensano, sentono, comunicano, soffrono, desiderano come gli umani. E devono essere trattati con rispetto e dolcezza.
L’empatia di Meslier è pre-razionale, il suo disgusto addirittura viscerale. Eppure nemmeno lui è privo di contraddizioni: contempla la possibilità del tirannicidio ma si commuove per la morte di un pollo. E non è vegetariano, come è costretto ad ammettere.
Nel nulla, ma non importa (davvero?)
Jean Meslier non nutre alcuna speranza. Sa che con la morte si conclude tutto ed è consapevole del nulla nel quale sprofonderà:
Dopodiché, che si pensi, si giudichi, si dica e si faccia nel mondo ciò che si vuole, a me non importa nulla; che gli uomini si organizzino e si governino come vogliono, che siano saggi o che siano pazzi, che siano buoni o che siano malvagi, che dopo la mia morte dicano e facciano anche di me ciò che vorranno; me ne preoccupo ben poco: già non prendo parte quasi per nulla a ciò che accade nel mondo; i morti con i quali sto per andare non si imbarazzano più per nulla, non si interessano di nulla, non si preoccupano di nulla. Finirò dunque nel nulla, d’altronde sono già quasi un nulla, e fra poco sarò nulla.
Eppure un po’ dev’essergli importato, se della «Memoria» ha fatto tre copie a mano affinché non andasse perduta.
L’opera è salva
L’abate Guillotin trova le due lettere e la «Memoria» di Jean Meslier e convoca i curati dei paesi intorno a Étrepigny. Che fare con quei testi scandalosi? Ne esistono tre copie: una presso il guardasigilli Chauvelin, un’altra alla cancelleria della giustizia di Sainte-Menehould e infine una presso la cancelleria di Rethel.
Nobili e borghesi con simpatie pre-illuministe inviano dei copisti di fiducia a riprodurre la «Memoria».
Prima che le copie possano essere distrutte dal potere ecclesiastico, la voce di un prete ateo, autore di un’opera esplosiva, si diffonde. Nobili e borghesi con simpatie pre-illuministe inviano dei copisti di fiducia a riprodurre la «Memoria». Cominciano così a circolare delle versioni pirata: cinque anni dopo la morte di Meslier ce ne sono già 150 e intellettuali e filosofi se le contendono. Il loro prezzo lievita, nel mercato nero delle opere proibite.
L’opera è salva e, sebbene rimanga sconosciuta agli incolti, ai quali sarebbe stata destinata nelle intenzioni del suo autore, inizia a stimolare la riflessione fra i colti, nonostante il suo stile privo di finezze.
Il disonesto Voltaire
E il disonesto Voltaire fa di peggio: dopo aver tagliato, aggiunge una conclusione posticcia nella quale Jean Meslier chiede perdono a Dio per aver trascorso la vita a imbrogliare i propri parrocchiani.
Voltaire viene a conoscenza della «Memoria» nel 1735 grazie a una lettera di Nicholas Thiriot, suo amico d’infanzia. Se ne procura una copia, ma ne rimane deluso. Disprezza Jean Meslier e giudica la sua opera lunga, noiosa e perfino rivoltante. Inoltre Voltaire è deista, perciò l’ateismo radicale del parroco di Étrepigny non gli garba punto. Tuttavia intuisce l’utilità della «Memoria» nella battaglia contro la Chiesa. Quindi che fa? Nel 1762 ne pubblica un’edizione riveduta e corretta da lui stesso: «Extraits des sentiments de Jean Meslier». Spariscono l’ateismo, la ribellione e il comunismo. In compenso restano la critica alla religione, alle profezie, ai miracoli, ai dogmi. E il disonesto Voltaire fa di peggio: dopo aver tagliato, aggiunge una conclusione posticcia nella quale Jean Meslier chiede perdono a Dio per aver trascorso la vita a imbrogliare i propri parrocchiani.
Gli «Extraits» pubblicati da Voltaire vanno a ruba. Nel giro di sei mesi hanno bisogno di una seconda edizione. Nondimeno le copie dell’opera originale continuano a circolare. Le possiedono Diderot, Helvétius, La Mettrie, Naigeon e d’Holbach. Naigeon dimostra la falsificazione voltairiana. d’Holbach, ateo puro e duro come Meslier, ne «Il Buon Senso, o Idee naturali opposte alle idee soprannaturali», recupera le parti censurate da Voltaire. Pubblicato anonimo, in una delle edizioni successive «Il Buon Senso» verrà a lungo considerato la versione di Meslier, addirittura fino agli Anni Sessanta del secolo scorso. Altre copie della «Memoria» originale si trovano in molte biblioteche private di nobili e borghesi. Anche Federico II di Prussia se ne procura una versione parziale. Nel 1790 Sylvain Maréchal pubblica un «Catechismo del curato Meslier», ma è un apocrifo.
Alterne fortune
Insomma, negli ambienti colti e illuministi alla vigilia della Rivoluzione tutti parlano della «Memoria» di Jean Meslier: bene i filosofi razionalisti, male anzi malissimo i prelati e i teologi. Ma non tutti: il giornalista Jean-Baptiste-Antoine Suard riferisce della deconversione eccellente dell’abate La Chapelle, censore reale e autore delle «Istituzioni di geometria», che avrebbe ammesso con d’Alembert di aver perduto la fede dopo aver letto l’opera di Meslier.
Poi arriva il 1789 e Meslier può godere di un’attenzione più ampia. Il povero curato rischia perfino di meritare un monumento: una statua nel Tempio della ragione, suggerita da Anacharsis Cloots alla Convenzione ma per fortuna rifiutata. Figli dei Lumi, i rivoluzionari erano in maggioranza deisti, non atei.
Trascorrono gli anni, le guerre napoleoniche insanguinano l’Europa, arriva la Restaurazione. La «Memoria» riprende a circolare di nascosto. Per trovarne una versione affidabile e completa bisogna arrivare al 1864 ad Amsterdam, dove Rudolf Charles d’Ablaing Van Giessenburg, propagandista del libero pensiero, del positivismo e del materialismo, produce un’edizione integrale in tre volumi con il titolo «Testamento di Jean Meslier». Ne stampa 550 copie, ma in 14 anni riesce a venderne appena 300.
Però la «Memoria» finisce per aver fortuna in un contesto inatteso: l’Unione Sovietica. I bolscevichi considerano Meslier un anticipatore del socialismo scientifico marxista e nel 1919 incidono il suo nome, insieme a quello di altri precursori, su un obelisco già dei Romanov eretto in un parco moscovita. In Russia escono un’edizione ridotta della «Memoria» nel 1918 e una completa nel 1937.
Ancora negli Anni Venti, Fritz Mauthner, nella sua monumentale opera «L’ateismo e la sua storia in Occidente», si inserisce in una tradizione scettica precedente e, pur ammettendo di non aver potuto consultare le fonti originali, insinua dei dubbi sul prete ateo. Siccome gli illuministi, come i chierici medievali, non esitavano a diffondere testi falsi per sostenere le proprie tesi, Mauthner suggerisce che il vero autore della «Memoria» fosse Voltaire: troppo sofisticato lo stile per un modesto curato di campagna, troppo inverosimile il silenzio di quattro decenni di sacerdozio, troppo inaffidabile l’edizione di van Giessenburg.
Oggi le tre copie originali della «Memoria» sono conservate presso la Biblioteca nazionale francese (manoscritti 19458, 19459, 19460), dove sono arrivate durante la Rivoluzione con la traslazione dei fondi dell’abbazia benedettina di Saint Germain-des-Prés.
La ricerca storica moderna ha fatto piazza pulita di tutti i dubbi sull’autore e ha reso giustizia a Jean Meslier. Oggi le tre copie originali della «Memoria» sono conservate presso la Biblioteca nazionale francese (manoscritti 19458, 19459, 19460), dove sono arrivate durante la Rivoluzione con la traslazione dei fondi dell’abbazia benedettina di Saint Germain-des-Prés. Nel 1970 è uscita un’edizione con un ricco apparato critico in tre volumi curata da Jean Deprun, Roland Desné e Alain Soboul, tuttora facile da reperire in ogni biblioteca ben fornita. Del 2007 è una nuova edizione integrale curata da Alain Toupin e Jean-Pierre Jackson, basata sul manoscritto 19460 della Biblioteca nazionale francese.
Fu il primo ateo?
In molti saggi sulla storia del pensiero Jean Meslier viene presentato come il primo ateo. Be’, è vero e non è vero.
Fu ateo, senza dubbio. Di un ateismo limpido e orgoglioso, radicale e rigoroso. Non si sarebbe mai riconosciuto nel panteismo di Spinoza: per Meslier esiste solo la Natura, ma lui non la divinizza come fa il filosofo olandese. Eppure anche per il prete ateo la Natura possiede almeno le caratteristiche divine della necessità ontologica e dell’eternità.
Anche per la sua epoca, gli argomenti di Meslier non erano nuovi: quelle idee circolavano fra i filosofi e i teologi ed erano discusse nelle corti e nei salotti. Però nessuno aveva avuto il coraggio di prenderle sul serio fino in fondo.
Tuttavia molti altri pensatori del passato, da Democrito ed Epicuro fino a Lucrezio, avevano aderito a un naturalismo nel quale gli dei non esistevano o avevano un ruolo marginale o di fatto erano esseri materiali. Anche per la sua epoca, gli argomenti di Meslier non erano nuovi: quelle idee circolavano fra i filosofi e i teologi ed erano discusse nelle corti e nei salotti. Però nessuno aveva avuto il coraggio di prenderle sul serio fino in fondo. Meslier lo fa, lontano da quelle corti e da quei salotti, nella solitudine della sua canonica nelle Ardenne, sconosciuto e nascosto e ignorato. E ignorante, perché di quel dibattito filosofico non aveva notizia. Ci arriva da solo e da solo conduce il ragionamento all’unica conclusione possibile: Dio non esiste.
Fino a Meslier e ancora per parecchio tempo dopo di lui, «ateo» non è soltanto chi dichiara la non esistenza di Dio, bensì chiunque si discosta dall’ortodossia cristiana. Ateo è il panteista, come Spinoza. Ateo è il deista, come Voltaire e Rousseau. Ateo è il libertino. Atei sono l’eretico e lo scismatico. E la società inizia ad accettarli. Ma per gli atei veri e propri, intesi nel senso moderno, non c’è alcuna tolleranza. Nelle «Meditazioni metafisiche» Cartesio condanna gli infedeli e gli atei, che definisce «più arroganti che colti». John Locke in «Una lettera sulla tolleranza» esclude gli atei poiché inaffidabili: siccome non credono in Dio, il loro giuramento non vale nulla.
Espone tutto questo senza precauzioni né eufemismi né giri di parole. D’altronde, nascosto nel suo studiolo a scrivere a lume di candela, se lo può permettere: quando verrà letto, lui sarà nel nulla e nessuno potrà più fargli alcunché.
In una società siffatta l’ateismo dichiarato è impossibile. Infatti nessuno lo dichiara… tranne Jean Meslier. E insieme all’ateismo propone un’etica razionale, laica, fondata su presupposti naturalisti. Indignato per l’oppressione dei pochi sui molti, dei potenti sui deboli, dei ricchi sui poveri, si spinge fino a sognare il comunismo. Espone tutto questo senza precauzioni né eufemismi né giri di parole. D’altronde, nascosto nel suo studiolo a scrivere a lume di candela, se lo può permettere: quando verrà letto, lui sarà nel nulla e nessuno potrà più fargli alcunché.
…son bravi tutti
«Era un codardo»: questo mi ha detto una volta un cattolico al quale avevo raccontato la storia di Jean Meslier. E ha aggiunto: «Già in vita avrebbe dovuto rivelare il proprio ateismo». Davvero?
Certo, Meslier si nasconde per paura. Non ha difficoltà ad ammetterlo:
Mi sembrava di abusare tanto più indegnamente della vostra buona fede e che sarei stato di conseguenza tanto più degno di critica e di rimprovero, ciò che accresceva talmente la mia avversione contro questa sorta di cerimoniose e ampollose solennità e vane funzioni del mio ministero, che sono stato cento e cento volte sul punto di far esplodere indiscretamente la mia indignazione, non potendo quasi più nascondere il mio risentimento in quelle occasioni né trattenere in me stesso l’indignazione che provavo. Eppure ho fatto in modo di trattenerla. E cercherò di trattenerla fino alla fine dei miei giorni, non volendo espormi durante la mia vita all’indignazione dei preti né alla crudeltà dei tiranni, che non troverebbero, mi sembra, dei tormenti abbastanza duri per punire una tale pretesa temerarietà.
E sì, potrebbe dichiararsi. Potrebbe gettare la tonaca alle ortiche e vivere una vita coerente con le proprie idee. Potrebbe. Ma a quale prezzo?
Meslier ha ogni ragione per temere. A rischio non sono solo la rendita delle due parrocchie e la vita agiata in canonica con una giovane domestica. Nel 1600 Giordano Bruno era stato arso vivo a Roma. 19 anni dopo era stato il turno di Giulio Cesare Vanini, a Tolosa. Nel 1633 Galileo Galilei era stato costretto all’abiura sotto la minaccia della tortura. In anni più prossimi alla vita di Meslier, Pietro Giannone viene perseguitato ed è costretto a fuggire per aver pubblicato nel 1723 la «Historia civile del regno di Napoli», nella quale critica la Chiesa e il suo potere fondato sull’ignoranza e sulla superstizione. Giannone sarà arrestato e morirà in prigione dopo la scomparsa del curato di Étrepigny. Altri preti suoi contemporanei, se accusati di ateismo, vengono puniti, imprigionati, perfino ancora bruciati sul rogo. È quello lo spirito dei tempi.
Oggi, in una società dove esiste la libertà di espressione, peraltro ottenuta lottando contro l’intolleranza clericale, qualche bigotto erede di chi avrebbe perseguitato Jean Meslier si permette di accusarlo di vigliaccheria. La risposta è scontata: col culo degli altri son bravi tutti.
La sua «Memoria», così arcaica nella forma e così moderna nel contenuto, fu per lui quel senso.
Jean Meslier fu un uomo con un carattere eccezionale. Capace di nascondersi per una vita intera dietro un paravento di credenze e di riti nei quali non nutriva alcuna fede e nel contempo di lasciare un testamento di speranza. Sapeva che non bisogna temere la morte, perché la morte è una trasformazione della materia. Sapeva pure che la vita non ha un senso se non quello che le diamo noi stessi, qui e ora, nell’unica realtà possibile. La sua «Memoria», così arcaica nella forma e così moderna nel contenuto, fu per lui quel senso.
Choam Goldberg
Per saperne di più:
S. Deruette, «Lire Jean Meslier, curé et athée révolutionnaire. Introduction au mesliérisme et extraits de son oeuvre», 2008
M. Dommanget, «Le Curé Meslier: Athée, communiste et révolutionnaire sous Louis XIV», 2008
T. Guilabert, «Le veridiche avventure di Jean Meslier (1664-1729). Curato, ateo e rivoluzionario», 2013
S. Maréchal, «Catéchisme du curé Meslier», 1790
R.O Mayer, «Le Mémoire de Jean Meslier: contre la religion et la tyrannie pou la libération des peuples», mémoire de maîtrise en philosophie, Université du Québec à Montréal, 2011
J. Meslier, Voltaire, «Testament de Meslier», 1762
J. Meslier, «Le testament de Jean Meslier», a cura di R. Charles, 1864 (vol. 1, vol. 2, vol. 3)
J. Meslier, «Oeuvres de Jean Meslier», a cura di J. Deprun, R. Desné, A. Soboul, 1970
J. Meslier, «Il testamento», 1972
J. Meslier, «Mémoire contre la religion», a cura di J.P. Jackson e A. Toupin, 2007
J. Meslier, Memorie intellettuali e sentimentali, 2019
A. Mulleri, «Materialismo e critica della religione: il Testament di Jean Meslier», tesi di laurea, Università di Pisa, a.a. 2011/12
M. Onfray, «Jean Meslier and “The Gentle Inclination of Nature”», 2006
Virgilio Savona – Il testamento del parroco Meslier (con un’introduzione sbagliata sul piano storico)
(Foto: Roby)
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