Facciamo due Gedankenexperiment. E riflettiamo.
I miei articoli sull’hijab e lo Stato etico e sulla sardina velata hanno creato alcune reazioni: diverse persone, fra le lettrici e i lettori, mi hanno scritto. Qualche reazione è stata un po’ scomposta, qualche altra più pacata. La più stimolante è quella di Farideh:
Sono musulmana, ma non sono particolarmente osservante. Eppure porto il velo. Il motivo non è il precetto religioso, ma il pudore. Senza il velo mi sento scoperta, quasi nuda. Immagina come ti sentiresti tu ad andare in giro senza pantaloni né mutande. Pensa a come si sentirebbe una donna occidentale ad andare in giro con il seno scoperto. Avreste vergogna, vero? Io senza il mio velo ho vergogna. Voi vi indignate tanto perché nel mio Paese, l’Iran, le donne vengono fermate dalla polizia quando escono di casa senza il velo. Come pensi che i poliziotti del vostro Paese reagirebbero davanti a una donna che andasse in piazza a seno scoperto? Non la arresterebbero, forse?
L’argomento di Farideh mi perplime assai. Eppure mi sembra convincente sul piano razionale.
Per me è inconcepibile che una donna possa aderire ai precetti di una religione che la considera inferiore e le impone un codice di abbigliamento funzionale al desiderio maschile. E sospetto sempre che, anche dietro l’apparente libera scelta individuale di una donna adulta, ci siano pressioni culturali e psicologiche delle quali magari la donna stessa non è consapevole. Però nelle sue considerazioni Farideh esclude la religione – della quale perciò non parlerò più in quest’articolo – e invoca l’argomento del pudore.
Ora, il pudore è culturale e individuale. Così, sollecitato dalle riflessioni della mia lettrice di origine iraniana, eccomi a inventare due Gedankenexperiment e a proporre alcune domande agli altri miei lettori.
- Immaginiamo che un’università europea inviti a tenere un corso una studiosa originaria dell’Amazzonia e che costei si presenti nuda e pretenda di insegnare senza indossare vestiti. E che aggiunga: «Voi state violando la mia libertà individuale, mi state imponendo un codice di abbigliamento funzionale al desiderio maschile. Io non provo vergogna nel mostrarmi nuda e pretendo di poterlo fare anche qui». L’università europea dovrebbe permetterle di insegnare nuda?
- Immaginiamo che una studiosa europea, una donna moderna ed emancipata, sia chiamata a tenere un corso presso un centro di ricerca in Amazzonia. Ma che, arrivata lì, si senta dire dai colleghi che, se vuole insegnare agli studenti amazzonici, lo deve fare nuda. «Scusate, ma io mi vergogno», potrebbe obiettare l’europea. E loro: «Questo è un problema tuo. Secondo la nostra cultura, il tuo bisogno di vestirti è una forma di sottomissione al desiderio maschile. Quindi, se vuoi stare qui e assumere un ruolo istituzionale come quello di docente, devi spogliarti». È giusto che la studiosa europea vinca il proprio pudore e si spogli?
Il primo caso è paragonabile a quello delle donne occidentali che si recano in un paese islamico e pretendono di non indossare il velo. Il secondo a quello delle donne islamiche che arrivano in Occidente e si sentono dire che non possono indossare il velo per ricoprire dei ruoli istituzionali. Nel primo caso abbiamo un pudore culturale, nel secondo un pudore individuale. Rispetto al caso del velo, cambiano solo le parti del corpo esposte allo sguardo altrui.
Dobbiamo concludere che Farideh ha ragione? O no? Se no, perché?
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