Le idee verso le quali dobbiamo essere più sospettosi e spietati sono le nostre. Allo stesso modo, i libri verso i quali dobbiamo essere più critici sono quelli in sintonia con le nostre convinzioni. Proprio il caso di «Nel nome della croce».
L’incipit è potente: un’orda di fanatici religiosi demolisce un antico tempio a Palmira. Ti viene spontaneo immaginare i miliziani dell’ISIS, ma sai già che Catherine Nixey sta descrivendo le devastazioni provocate dai primi cristiani. E tu, leggendo da ateo, godi tantissimo: ecco le prove storiche dei disastri provocati dai monoteismi abramitici.
Così prosegui la lettura e trovi quel che ti aspetti di trovare: un lungo e documentato elenco di distruzioni, massacri, persecuzioni, censure. Da cui ricavi la conferma della tua convinzione: il cristianesimo è stato una iattura per il mondo classico e di conseguenza per la cultura occidentale. Se abbiamo perduto un’enorme quantità di opere dell’arte, della letteratura e della filosofia antiche è per colpa del fanatismo ottuso dei cristiani. Che la tradizione della Chiesa ci descrive come martiri delle persecuzioni nei primi tre secoli dopo Cristo, ma che poi, dopo l’Editto di Milano nel 313 e soprattutto l’Editto di Tessalonica nel 380, si trasformarono a propria volta in persecutori spietati. Risultato: il Medioevo, l’oscurantismo eccetera. Ok, è tutto vero.
Anche lo stile della scrittura di Nixey è eccellente: scorrevole, coinvolgente, vivace. Provocatorio ed esplicito, come piace a me. Sa scrivere, Catherine Nixey.
Però.
Però, mentre leggi il suo saggio, non puoi fare a meno di avvertire un senso di fastidio crescente. All’inizio è indefinibile, poi pian piano si precisa: è tutto troppo netto. Di qua i pagani, vittime indifese, e di là i cristiani, stronzi violenti. Di qua la cultura e l’apertura, di là l’oscurantismo e l’intolleranza. Troppo manicheo. Troppo superficiale. Di fatto il IV e il V secolo dopo Cristo furono un’epoca in cui entrambe le fazioni si scannavano fra loro senza tanti complimenti. I pagani non subivano inerti come Nixey vuol far credere. Spesso reagivano alle provocazioni. Spesso provocavano per primi. Con molte vittime dall’una e dall’altra parte: una realtà documentata da fonti sia cristiane sia pagane. Una realtà di cui l’autrice presenta, in modo fazioso, solo gli episodi che suffragano la sua tesi: pagani vittime e cristiani carnefici, appunto.
Poi vai a sbattere in qualche discrepanza con le tue conoscenze sulla Storia. Non sono errori gravi: per esempio Teone, il padre di Ipazia, avrebbe studiato presso la biblioteca di Alessandria. Che però in quell’epoca non esisteva già più da tempo, o almeno non nella forma in cui la presenta Nixey. Un’imprecisione qui e un’affermazione superficiale là ti fanno sorgere il sospetto che ci siano tanti altri errori, ma che tu non li veda perché non sei esperto della Storia di quel periodo. Questo ti suscita parecchi dubbi sull’affidabilità dell’intero saggio di Nixey.
In conclusione, «Nel nome della croce» è un saggio ben scritto ma non convincente. Documenta quel che i cristiani preferiscono dimenticare, ma lascia la fondata impressione di voler raccontare solo una parte della Storia: fazioso speculare, ma pur sempre fazioso. E non va bene, se la tua priorità è l’onestà intellettuale. Non va bene per niente.
C. Nixey, «Nel nome della croce», Bollati Boringhieri
Per saperne di più:
Review – Catherine Nixey «The Darkening Age» – History for Atheists
Una recensione molto approfondita che demolisce il saggio di Nixey. Non sempre convince su tutto, ma è ben documentata e fa riflettere. Occhio, perché è lunghissima.
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