Ken Follett: dal bigottismo puritano all’ateismo, fino alla riscoperta della spiritualità.
Ogni ateo ha la propria storia: chi lo è da sempre perché non ha mai ricevuto un’educazione religiosa, chi l’ha ricevuta blanda e diventa ateo senza strappi dopo aver riflettuto, chi perde la fede per reazione a una religiosità infantile opprimente. Questo è il caso di Ken Follett, di cui EDB ha appena pubblicato «Cattiva fede», riedizione in due lingue di un lungo articolo autobiografico già uscito su «Granta».
Cresciuto in una famiglia di rigorosa osservanza puritana, dove ha subito la demonizzazione di ogni godimento fisico o intellettuale perché fonte di «piacere», dove gli è stata insegnata l’interpretazione letterale della Bibbia di re Giacomo, dove ha rinunciato a ogni interazione sociale al di fuori della settucola familiare. Proprio un bell’ambientino. Ma si sa: niente porta alla ribellione come la costrizione. Perciò Follett crescendo si emancipa, studia filosofia, si spalanca al mondo. E diventa ateo. Di più: un ateo arrabbiato, come reazione alle occasioni perdute durante la giovinezza. Poi però, raggiunta la mezza età, ci ripensa. Resta ateo, ma non praticante. Anzi no: praticante la religione, ma a modo suo. Riscopre una certa spiritualità e ammette: «Andare in chiesa mi piace».
Il saggio è interessante come spaccato di una realtà difficile da penetrare se non attraverso, appunto, la testimonianza di chi ci è cresciuto dentro e poi ne è uscito. Il quadro è prevedibile e desolante: chiusura, ottusità, bigottismo, coercizione. Una lettura utile sebbene non sorprendente, quindi. Rimane la perplessità sul finale: «Andare in chiesa consola la mia anima» è un’affermazione sconcertante, se fatta da un ateo. Anima? Ma quale anima?
Però, come dicono i nativi americani, «prima di giudicare una persona cammina nei suoi mocassini per tre lune». Sicché boh.
Choam Goldberg
Nulla è più esasperante della rivelazione della propria passata stupidità.
– Ken Follett
K. Follett, «Bad Faith, Cattiva fede», EDB
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