Il rasoio di Occam, ma solo quando fa comodo.
Se vuoi esprimere la tua opinione su questo video, scrivi a leternoassente@gmail.com
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In ogni caso migliori.
Il Male non esiste in Natura. Ok, l’ho detto: il Male non esiste in Natura. Ma allora, se il Male non esiste in Natura, come sta in piedi la prova della non esistenza di Dio fondata proprio sull’esistenza del Male? Semplice: basta intendersi sul concetto di Male.
Lui, proprio lui fornisce un ottimo argomento contro la resurrezione di Cristo.
Il dogma centrale del cristianesimo è la resurrezione di Gesù Cristo. Lo dice Paolo:
Noi dunque predichiamo che Cristo è risuscitato dai morti. Allora come mai alcuni tra voi dicono che non vi è risurrezione dei morti? Ma se non c’è risurrezione dei morti, neppure Cristo è risuscitato! E se Cristo non è risuscitato, la nostra predicazione è senza fondamento e la vostra fede è senza valore. Anzi finiamo per essere falsi testimoni di Dio, perché, contro Dio, abbiamo affermato che egli ha risuscitato Cristo. Ma se è vero che i morti non risuscitano, Dio non lo ha risuscitato affatto. Infatti, se i morti non risuscitano, neppure Cristo è risuscitato. E se Cristo non è risuscitato, la vostra fede è un’illusione, e voi siete ancora nei vostri peccati. E anche i credenti in Cristo, che sono morti, sono perduti. Ma se abbiamo sperato in Cristo solamente per questa vita, noi siamo i più infelici di tutti gli uomini.
– 1 Corinzi 15,12-20
Ebbene Paolo – san Paolo, l’apostolo dei gentili, proprio lui, mica l’ultimo coglione – fornisce un ottimo argomento contro la plausibilità della resurrezione di Cristo.
Ma anche un’invenzione geniale, se ci pensi.
«Dio è Amore. Dio ti ama. Dio ama te, proprio te, con tutte le tue debolezze e imperfezioni e con tutte le tue colpe. Dio ti ama così tanto che ha sacrificato suo Figlio, cioè sé stesso, per te e per la tua salvezza»: questa è la manfrina propinata oggi dalle religioni abramitiche, in particolare dalle varie confessioni cristiane. L’islam è rimasto attaccato a una divinità sì misericordiosa, ma anzitutto arcigna e giudicante. Anche per il cristianesimo una volta era così: sì sì, Dio ti ama, però soprattutto ti giudica e, se necessario, ti punisce. Sulla punizione i cristiani contemporanei invece tacciono. E dimenticano l’inferno.
Nel piano di salvezza era indispensabile quanto Gesù. Però brucia all’inferno per l’eternità e sarà vituperato da chiunque fino alla fine dei tempi.
A sentire gli apologeti bigotti, un solido argomento in favore della verità del messaggio cristiano sta nel destino terreno del suo fondatore: poiché fu ucciso nel più umiliante dei modi come il più spregevole degli uomini, Gesù dev’essere davvero il Figlio di Dio. Siccome sembra assurda, questa storia non può essere stata inventata: i suoi seguaci si sarebbero vergognati e non avrebbero tramandato la sua vicenda. Siamo sempre lì: «Credo quia absurdum». Ovvero: «Più grossa è la cazzata e più io ci credo, ché a credere nelle cose ragionevoli c’è poco merito agli occhi di Dio». Sottovalutando la capacità tutta umana di Pietro, Giacomo, Paolo e compagnia credente di convivere con le dissonanze cognitive e di continuare a credere nelle stronzate anche quando ormai sono conclamate. Superfluo aggiungere che, se invece Gesù avesse goduto di un immediato e strepitoso successo terreno, proprio quella sarebbe stata la prova della verità del suo messaggio. Maometto sta lì a dimostrarlo per centinaia di milioni di musulmani. Insomma, che il fondatore fallisca o abbia successo, tutto fa brodo per rassicurare chi già crede per tutt’altri motivi e vuole cercare una conferma purchessìa, a costo di farsi andar bene tutto o il contrario di tutto. La falsificabilità dell’ipotesi sta a zero e vaffanculo a Popper.
La teodicea secondo il diretto interessato.
Finora nessuno fra gli apologeti bigotti si è mai cimentato con la sfida della teodicea. Ovvio: non sanno rispondere. In loro soccorso arriva adesso il diretto interessato: nientepopodimeno che Dio. Nella lettera di accompagnamento, il Supremo ci informa di aver deciso di affrontare la sfida che lo riguarda come «un esercizio di pensiero laterale imperfetto, un guardare a Dio e al mondo ribaltando un po’ la prospettiva». Potevamo noi esimerci dal dargli spazio? Certo che no. Anche perché il risultato è godibile, divertente, molto ben scritto.
Comincio col dire che io sono ateo. E aggiungo che sono anche onnipotente, onnisciente e buono. In altre parole, io sono il Dio forgiatore del tuo mondo, sono il Dio che oggi si è preso la briga di scriverti per dirti che Dio esiste. Almeno per ciò che riguarda il tuo mondo. Però, per complicare un po’ le cose, aggiungo ancora questo: sono onnipotente e onnisciente solo nei confronti del tuo mondo, mentre sono ateo, ma buono, nel mio. E questo – lo so – renderà problematica e imperfetta la soluzione che propongo alla tua sfida della teodicea.
Io non sono libero e Dio non è solo un osservatore e soprattutto è stronzo.
Secondo i credenti, il grande dono di Dio fin dall’origine dei tempi è il libero arbitrio. Dio non voleva delle marionette, bensì delle creature libere e indipendenti. Tuttavia la libertà implica la capacità di sbagliare: cosa che gli umani hanno fatto fin dal principio, mangiando il frutto dell’albero della conoscenza. E la fanno tuttora: si ribellano a Dio quando compiono un atto in contrasto con le prescrizioni divine. Cattivi che sono, gli umani. Ma, ammesso pure che esista – e ci sono motivi a strafottere per dubitarne –, che razza di dono è il libero arbitrio?
Sulla polemica coi bigotti. Perché il male può essere fatto di silenzio.
Choam è troppo incazzoso con i bigotti? La sua polemica è troppo dura e per questo perfino controproducente? Il turpiloquio e la blasfemia sono il pretesto – offerto peraltro dallo stesso Choam con piena consapevolezza – degli apologeti per evitare di confrontarsi con gli argomenti razionali. Ora una lettrice, Eli Sandalo, con questo guest post ci offre la possibilità di una giustificazione diversa.
Nel ringraziare Choam per il suo impegno e la sua impeccabile cura nella scelta delle argomentazioni, mi viene istintivo pensare che qualcuno – non tra i credenti, ma tra gli atei – possa pensare che questa intensità, con cui Choam si arrabbia, sia eccessiva, fuori misura oppure sprecata.
Quello abramitico è assurdo, ma quello filosofico non se la passa molto meglio.
Ancora un guest post de L’Eterno Assente. Mattia Fabbri, docente di storia e filosofia, riflette sul concetto filosofico di divinità.
Spesso da parte laica si contrappone il Dio filosofico al Dio abramitico per mostrare come il secondo sia molto meno credibile del primo: basti pensare alle tantissime contraddizioni presenti nelle Scritture, all’insolubile problema della teodicea, ai suoi ineliminabili antropomorfismi eccetera. Sicuramente il Dio dei filosofi, nella sua assenza di caratteri antropomorfi e nella sua totale estraneità alle religioni, appare molto più difendibile rispetto a quello della Bibbia o del Corano. Non è un caso che molti filosofi laici (ad esempio i deisti) lo abbiano sostenuto con argomentazioni apparentemente razionali o che venga considerato un’ipotesi interessante anche da molti di coloro che si dichiarano atei e agnostici. Eppure, a una riflessione più attenta, anche il Dio filosofico risulta poco consistente e attendibile come ipotesi.
Una supercazzola che sembra sofisticata ma che non risolve niente.
Quando si osserva il mondo per cercare di capire com’è, nessuno è una tabula rasa. Tutti abbiamo ipotesi pregresse. Quelle ipotesi vanno poste a confronto con la realtà e, se vengono smentite, vanno rigettate. In questo consiste l’onestà intellettuale: la capacità di rinunciare alle proprie ipotesi di fronte a prove contrarie cogenti. E per questo la sofferenza innocente è un incubo filosofico per i credenti abramitici: siccome per loro l’esistenza di un Dio onnisciente, onnipotente e buono è un dogma indiscutibile e irrinunciabile, il confronto con l’evidenza innegabile del dolore dei bambini li costringe a masturbazioni intellettuali e a supercazzole filosofiche oltre il limite del ridicolo. Sono le teodicee, una più assurda e demenziale dell’altra.
Una lista non esaustiva di stronzate.
A me piace Giovanni Zenone. Mi piace davvero tanto. Zenone svetta per eleganza, cultura e coerenza in mezzo alle capre al pascolo nello zoo degli apologeti bigotti dei social e alla marmaglia dei credenti tiepidi e superficiali con il loro cattolicesimo fai-da-te.